La tragedia

Heysel, 40 anni dopo: la notte nera del calcio europeo

Heysel
La tragedia dell’Heysel, tra disorganizzazione e violenza, segnò per sempre il calcio europeo. Il racconto, 40 anni dopo, di una finale che nessuno avrebbe mai voluto giocare
Silvia Cannas Simontacchi
Silvia Cannas Simontacchi

Sono passati 40 anni dalla strage dell’Heysel, eppure il ricordo fa ancora male. Il 29 maggio 1985 doveva essere una festa. Juventus e Liverpool si giocavano la Coppa dei Campioni, il trofeo continentale più ambito, allo stadio Heysel di Bruxelles. La capitale belga ospitava la sua quarta finale dopo le edizioni del 1958, 1966 e 1974, e puntava ad affermarsi come centro dell’Europa del futuro. Ma lo stadio — vecchio, fatiscente, inadeguato — era tutto fuorché all’altezza.

Pietre, travi, calcinacci e una struttura logora: l’Heysel offriva tutto il necessario a chiunque avesse intenzioni violente. La gestione dei biglietti fu approssimativa, per usare un eufemismo. I tifosi della Juventus vennero sistemati nei settori M, N e O, quelli del Liverpool nei settori X e Y. In mezzo, il settore Z: una zona promiscua, teoricamente neutra, ma in realtà svenduta attraverso canali non ufficiali. Tradotto: finì in mano ai bagarini. La maggior parte dei tifosi italiani, ignari di essere stati posizionati nel luogo peggiore possibile, era proprio lì.

Una trappola di cemento e calcinacci

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Eppure, la giornata sembrava abbastanza tranquilla. Nessun incidente, niente scaramucce, nonostante gli incontri ravvicinati fra le opposte tifoserie per le strade della città. Si confidava, ingenuamente, che il rispetto delle regole e il divieto di alcolici sarebbero bastati. Ma nel tardo pomeriggio, quando la folla cominciò ad accalcarsi ai cancelli, qualcosa cambia.

L’atmosfera si fa densa, opprimente. C’era chi non ha nemmeno il biglietto. Altri lo hanno, ma per il settore sbagliato. I varchi si bloccano, i passaggi si intasano in fretta. Lo stadio, fragile e sovraffollato, inizia a tremare sotto un peso che non può sostenere. Finché, alle 19:30 — un’ora prima del fischio d’inizio — la situazione precipita.

Gli hooligan del Liverpool premono contro la rete che separa il settore Z da quelli a loro assegnati. Il gioco è quello del “take an end”: conquistare la curva avversaria con la forza. E alla fine le barriere cedono. Tra la folla che tenta di scappare, c’è chi si lancia nel vuoto, chi rimane schiacciato. I tifosi italiani del settore Z, in trappola, cercano rifugio dove possono. Ma il muro alle loro spalle crolla.

È un massacro: 39 morti, di cui 32 italiani, e oltre 600 feriti. Nel frattempo, dall’altra parte dello stadio, molti tifosi — e pure alcuni calciatori — non hanno la minima idea di cosa stia succedendo. Lo speaker legge messaggi che invitano alla calma, ma lo stadio è già un campo di battaglia. Alle 20:15, il panico è totale. L’Europa intera è davanti TV, ma quella che sta per vedere non è più una partita.

Un rigore, una coppa, nessuna gioia

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La diretta su Rai 2 parte con lo schermo nero, e un Bruno Pizzul costretto a spiegare il silenzio con un presunto guasto tecnico, mentre contemporaneamente il TG1 mostra immagini di feriti e ambulanze in corsa. Ma Juventus-Liverpool si gioca comunque. Per motivi di ordine pubblico, dicono. Per evitare il caos, per non peggiorare la situazione. Ma cosa può esserci di peggio di una partita che comincia dopo una strage? “Commenterò nel modo più asettico possibile”, dice Pizzul. Come se fosse davvero possibile.

Alle 21:40 le squadre entrano in campo. Decide Platini su rigore, concesso per un fallo su Boniek avvenuto in realtà fuori area. Lo stadio esplode. Ma non è gioia, è isteria. Tre ore e mezza dopo la strage, la Juventus alza la Coppa dei Campioni per la prima volta nella sua storia. I giocatori mostrano il trofeo ai tifosi, ufficialmente per calmare la folla. Ma l’indomani, le immagini di una Juventus raggiante sulla scaletta dell’aereo, Coppa alla mano, fanno il giro del mondo. E il paese si spacca. Nei giorni successivi, compaiono delle scritte vergognose sui muri: “Grazie Liverpool”, “Juventus 1 Liverpool 39”. Una ferita dentro la ferita. Un cinismo che fa male, e che dimentica che tra le vittime non ci sono solo italiani.

L’eredità dell’Heysel

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Il processo per i fatti dell’Heysel arriverà tardi. Dei 27 hooligans imputati, 14 verranno condannati. Gli altri assolti. Verranno condannati anche due funzionari belgi: il segretario della Lega Calcio e il responsabile dell’ordine pubblico, che eviteranno il carcere grazie alla condizionale. La UEFA sospende i club inglesi dalle coppe europee per cinque anni, e la FIFA approva. Ma non basta. Quella sera, qualcosa si è rotto.

Marco Tardelli, negli anni a venire, chiederà scusa. "Sono brutti ricordi – dice oggi l'ex numero 10 Platininon ne parlo volentieri. Mi ha fatto davvero male pensare alle persone che erano venute per vederci e poi non sono tornate".

Nel frattempo, il calcio cambia. Arrivano nuove regole, stadi più sicuri, una stretta sul tifo violento, anche se non subito. L’Heysel resta un fantasma. Una tragedia che si tende a rimuovere, a seppellire sotto la retorica delle coppe alzate al cielo. Eppure, chi c’era quella sera, non dimenticherà mai.