Le parole di Moise Kean

Nove gol in dodici partite, Kean in stato di grazia: “Devo tanto alla Juve”

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L'attaccante della Fiorentina e della nazionale, si racconta al The Guardian, tra presente e passato, e ambizioni future. In questo primo quarto di campionato, è capocannoniere con 9 reti.
Michele Bellame

E' stato preso dalla Juventus quando aveva appena 16 anni, a 19 era in Inghilterra e l'anno dopo al Paris Saint Germain: la carta di identità dice che ha 24 anni, ma Moise Kean ha esperienza da vendere. Alla Fiorentina, sotto la guida di Raffaele Palladino, sta trovando continuità e fiducia nei propri mezzi. In questo primo quarto di campionato, l'attaccante della Viola ha segnato nove gol in dodici presenze. Grazie a questi numeri, ha ritrovato la nazionale, dopo qualche presenza sporadica nell'ottobre dell'anno scorso. A proposito di nazionale, è stato convocato da Spalletti per la sfida di stasera contro il Belgio: gara valida per l'ultimo turno della fase a gironi di Nations League.

"In Inghilterra sono maturato molto. La Juventus? Un sogno: devo tutto a loro"

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"Loro sono stati una vera famiglia per me: ero un ragazzino, e mi hanno fatto esordire in prima squadra ad appena 16 anni". Esordiva in massima serie a novembre del 2016, contro il Pescara, rilevando Mario Mandzukic. Quest'esordio, lo aveva reso il  primo calciatore nato negli anni 2000 a esordire in Serie A e in Champions League. A maggio del 2017, quindi nello stesso campionato, trova la contro il Bologna. "Mi hanno preso dal nulla, mi hanno insegnato cos'è la disciplina. Prima, cercavo di fare tunnel, di fare spettacolo per suscitare una reazione nella gente. Ma quando arrivi in serie A, è diverso".

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In questa intervista rilasciata al The Guardian, parla del suo momento attuale alla Fiorentina: "Firenze è una piazza che ti da tanto: è una citta che crede in me, i tifosi ci tengono alla maglia e questo è uno sprono per fare meglio". Infine, un passaggio su quello che è stato il suo trascorso tra Inghilterra e Francia: "Non sono state esperienze negative, trovo il buono anche in quel periodo. All'Everton è stata difficile, avevamo cambiato tre allenatori. Avevo 19 anni, non riuscivo ad emergere, e nei momenti in cui non giocavo mi dicevo che dovevo stringere i denti e lavorare sodo. L'anno dopo a Parigi ho provato a dare il meglio di me".

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