Esclusiva

Dossena: “Giusto applicare le sanzioni nella stagione in corso. Campionato a 22 squadre? Andrebbe ridotto”

Dossena
Focus sul rinvio dei playout di Serie B e il caso Brescia, Beppe Dossena è intervenuto in esclusiva ai microfoni di DerbyDerbyDerby.it per una sua opinione in merito alla trasparenza nel calcio
Silvia Cannas Simontacchi
Silvia Cannas Simontacchi

Beppe Dossena ha segnato un'epoca del calcio italiano. Milanese di nascita, cresciuto nel Torino e consacrato nella Sampdoria, è stato uno dei pilastri della squadra che vinse lo storico scudetto del 1991, guidata da Vujadin Boškov. Campione del mondo con l’Italia nel 1982, Dossena ha vestito con orgoglio maglie importanti, senza mai rinunciare all’eleganza che lo contraddistingue anche fuori dal campo.

Apprezzato opinionista e commentatore per la Rai, oggi è una voce lucida e misurata del panorama sportivo italiano, tra analisi tattiche e riflessioni sul calcio che cambia. In questa intervista esclusiva ci parla del caos che sta travolgendo la Serie B, delle ombre sul caso Brescia, del futuro della Sampdoria e di cosa resta, oggi, della credibilità del sistema.

L'intervista a Beppe Dossena

Dossena serie B

Proprio in queste ore si discute del rinvio dei playout di Serie B al 15 e 20 giugno, a seguito delle irregolarità amministrative segnalate al Brescia. Che opinione ha, innanzitutto, sulla scelta del club di non presentarsi all’audizione di venerdì, preferendo invece inviare una memoria difensiva?

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"Credo che questa scelta dipenda da come si sentono, da quello che provano. Se si sentono colpiti da un’ingiustizia, è comprensibile che abbiano preferito difendersi con una memoria scritta. Certo, non è la stessa cosa che essere presenti fisicamente, ma se ci sono argomentazioni valide, e queste sono ben espresse, io non ci vedo nulla di strano. È una forma di difesa come un’altra. Una memoria difensiva può essere esaustiva, soprattutto se preparata da professionisti. Secondo me non cambia molto rispetto alla presenza fisica, ai fini del giudizio".

Anche perché, in ogni caso, il deferimento è arrivato. Crede sia giusto applicare una sanzione nella stagione in corso o, come avvenuto nel basket con Trapani, sarebbe stato più corretto rinviare tutto alla stagione successiva?

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"Sono convinto che se vengono commessi errori, illeciti o qualsiasi altra irregolarità, le conseguenze debbano ricadere nella stessa stagione in cui sono accadute. A meno che non ci siano motivazioni particolari, trovo corretto che le penalizzazioni arrivino subito. Anche perché – e non parlo solo di questo caso – se si commettono reati di natura finanziaria oggi, i benefici ottenuti da quelle irregolarità ricadono sulla stagione in corso. Quindi, se c'è un vantaggio immediato, è giusto che ci sia anche una sanzione immediata".

La FIGC ha parlato di mancati versamenti, ma il club sostiene invece di essere stato vittima di una truffa fiscale, dichiarando di aver pagato tutto quanto dovuto. Che idea si è fatto?

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"In generale, credo che in un sistema come quello del calcio, dove circolano grandi quantità di denaro e strumenti finanziari complessi, sia necessario istituire un albo di fornitori e agenzie riconosciuti. Un elenco ufficiale, controllato e monitorato, che venga messo a disposizione delle società. La FIGC e gli organi competenti – come la CoviSoc – dovrebbero occuparsi di questo. Se hai bisogno di scontare fatture, diritti televisivi o lavorare sui crediti d’imposta, ti rivolgi a un elenco di società certificate. Altrimenti diventa una giungla. Serve una regolamentazione chiara, magari da stabilire a fine stagione per l’anno successivo".

Ma, al momento, la responsabilità resta in capo al club…

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"Certo, se sono stati truffati ci sono le sedi per far valere le proprie ragioni. Ma da quel che si legge, parliamo di una società con sede in via Montenapoleone, che nessuno ha mai visto, con un capitale sociale irrisorio… insomma, qualche dubbio era lecito. Finché queste società erano sul mercato ed erano operative, club come il Brescia si sono rivolti a loro. Però ecco, credo che proprio per evitare queste situazioni, ci voglia una regolamentazione stringente. Un club non può affidarsi al primo che capita. Serve un controllo da parte della Federazione o di chi è preposto, come la CoviSoc. Solo le societàvalutate e approvate dovrebbero poter lavorare con i club. Non dico che sia una soluzione definitiva, ma almeno è un inizio per mettere ordine.Anche perché, ripeto, sei i club hanno delle responsabilità, devono sapere a chi si stanno affidando".

In ogni caso, ormai la stagione è praticamente finita. Per il futuro, è questo il modo per evitare che le sanzioni arrivino troppo tardi?

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"Non so se è il modo, ma di certo bisogna fare ogni sforzo per regolamentare il sistema. Non possiamo sempre trovarci in balia di ricorsi, sanzioni, decisioni prese a fine campionato. È la classica estate italiana in cui si finisce a carte bollate… succede ciclicamente. Ogni anno ci ritroviamo a dire le stesse cose. Questo crea incertezza, alimenta i sospetti e, cosa peggiore, allontana la gente. Non si può gestire così un sistema professionistico. È sbagliato trascinare le cose per mesi".

Nei giorni scorsi si è parlato anche dell’ipotesi di portare la Serie B a 21 o 22 squadre: una soluzione tampone per non scontentare nessuno, o un pericoloso precedente. Lei che ne pensa?

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"Io penso che il campionato vada ridotto, non allungato. Se per “tamponare” una situazione si decide di aggiungere squadre, secondo me si commette un errore. Alla fine di tutto questo processo deve esserci un giudizio chiaro, puntuale, corretto. Se la soluzione è giocare i playout perché una sanzione è stata comminata, allora facciamoli. Ma aggiungere squadre per “accontentare tutti” non ha senso. In questo caso, tra l’altro, servirebbe a salvare anche il Brescia? Entriamo in dinamiche che faccio fatica a seguire. Quello che conta è arrivare a un verdetto, garantendo a tutti giustizia, equità e la possibilità di difendersi. Ma basta ritardi, basta rinvii. È da anni che il nostro sistema subisce queste situazioni. E chi le subisce di più sono i tifosi. Il mondo del calcio merita più attenzione e più capacità nel gestire anche l’aspetto economico-finanziario dei club. Soprattutto in momenti così delicati".

Una situazione mentalmente pesante da gestire per giocatori, staff e tifosi…

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"È una stagione che si chiude senza certezze. E quando mancano le certezze, a rimetterci è tutto il movimento. Serve un cambiamento culturale e organizzativo, altrimenti continueremo a ritrovarci sempre punto e a capo.

Pensiamo alle squadre che devono preparare un play-off decisivo, che può valere un campionato o un ripescaggio: si ritrovano con una stagione estenuante da affrontare, da riprogrammare anche fisicamente, senza sapere nemmeno con certezza le date.

Capisco che da fuori sia facile criticare, lo comprendo. Però una cosa va detta: esistono organi di controllo del nostro calcio che dovrebbero essere in grado di verificare chi acquista un club, chi sono i reali proprietari, se ci sono garanzie. Se creassimo delle condizioni di trasparenza a monte — dove chi si avvicina a un club sa di essere controllato dalla testa ai piedi — probabilmente molti problemi li avremmo già evitati, soprattutto nelle categorie inferiori. Così potremmo prevenire tutte queste situazioni che oggi ci troviamo ad analizzare".

Dossena sul caso Sampdoria

Nel caso della Sampdoria, ci sono state accuse di favoritismi che però sono state respinte con forza…

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"Il campionato parla chiaro. Si tratta di una squadra che, se davvero fosse stata aiutata, forse avrebbe avuto qualche episodio a favore in più. In realtà, credo che abbia anche subito qualche torto: rigori non concessi che magari ci stavano… Ma non ci si dovrebbe nemmeno attaccare a queste cose. E lo dico da osservatore esterno: non ho seguito proprio tutte le partite della Samp".

Da uomo di calcio, quanto incide sull’ambiente squadra questo clima di polemiche, favoritismi e recriminazioni?

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"Secondo me non incide. Sono tutte dinamiche che servono più che altro per far parlare. Un club, un allenatore, una società devono cercare di tenere la squadra fuori da questi discorsi. Certo, oggi è quasi impossibile controllare tutto, perché tra notizie, gossip e social diventa complicato distinguere il vero dal superfluo. Personalmente, faccio fatica a stare dietro a queste cose. Io parlo per esperienza personale: so cosa succede dentro uno spogliatoio. Ma se certe dinamiche vengono subito ridimensionate per quello che sono, rimangono solo rumore di fondo".

Cosa si è perso oggi nel rapporto tra club, istituzioni e tifosi?

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"Ogni volta che emergono situazioni del genere, il nostro calcio perde un po’ di credibilità. E quando la credibilità cala, anche il legame tra tifosi e club si indebolisce. Quello che succede ha un impatto diretto sulla fiducia del pubblico: si allontana, si disinnamora. Serve che tutti si assumano responsabilità in modo più chiaro e trasparente. Per ora, fortunatamente, la gente continua ad andare allo stadio, a guardare le partite in TV… Ma se continuiamo così, senza trasparenza, rischiamo di creare un contesto in cui la gente smette di fidarsi. Perché poi magari succede qualcosa anche fuori dagli stadi, si insinua l’idea che il risultato possa essere riscritto in tribunale. È questo il problema.

Tutti devono fare la loro parte: giocatori, allenatori, dirigenti… e anche gli arbitri. Anche loro devono diventare più trasparenti, spiegare i criteri delle loro decisioni, rendere pubbliche le comunicazioni tra sala VAR e campo. Alla fine della partita dovremmo sapere cosa si sono detti. Queste informazioni dovrebbero essere a disposizione dei club e del pubblico. Così ognuno può farsi un’idea. Invece, questo atteggiamento difensivo, questo chiudersi a riccio, secondo me è profondamente sbagliato. Contribuisce a creare confusione, a far perdere fiducia. Tutti devono fare la propria parte, certo. Ma serve una vera rivoluzione culturale. Bisogna iniziare da qualche parte, altrimenti saremo sempre fermi qui".

Al tifoso a casa spesso arriva la sensazione che ci sia una trasparenza “a metà”, diciamo così…

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"Se parliamo dei calciatori, gli errori sono evidenti, le dichiarazioni sono pubbliche, tutto è sotto gli occhi di tutti. Lo stesso vale per gli allenatori. Ma c’è anche un’altra componente fondamentale dello spettacolo: gli arbitri. Che ora sono sei, sette, otto — non si sa nemmeno più quanti… Eppure, proprio loro, che dovrebbero restare “neutrali”, a volte sembrano prendersi un ruolo che non sarebbe di loro competenza. Arbitrare non è facile, ci mancherebbe. Però liberiamo queste benedette comunicazioni tra arbitro e VAR. In generale, serve trasparenza. Vera. Non a metà".