Avellino

Cara Irpinia, festeggia e goditi il trionfo: Bentornato Avellino!

Tifosi Avellino
L'Avellino batte anche il Sorrento e festeggia l'aritmetica promozione in Serie B. È il trionfo di una terra, l'Irpinia, che quando è chiamata ad unire le proprie forze per raggiungere l'obiettivo, risponde sempre presente
Vincenzo Bellino
Vincenzo Bellino Redattore 

Ci sono sogni che si spezzano nel silenzio, che si perdono tra le pieghe del tempo, e poi ci sono sogni che resistono. Che lottano. Che si aggrappano con i denti alla realtà, attraversano le tempeste, e quando nessuno ci crede più, tornano a brillare. Oggi, quel sogno ha i colori biancoverdi e il nome dell’Avellino.

Sette anni. Un’assenza lunga, dolorosa, fatta di delusioni e attese, di cadute e faticose risalite. Dalla semifinale playoff persa contro il Bologna nel 2015 al fallimento del 2018, un’agonia che sembrava destinata a spegnere tutto. Il ritorno in Serie D, le umiliazioni, le domeniche di provincia, il silenzio dei riflettori. Ma qui, in Irpinia, il silenzio non è mai stato rassegnazione. È stato attesa. È stato fede. È stato amore.

Perché l’Irpinia non dimentica. Non dimentica le sue ferite, ma non smette mai di camminare.

Il terremoto del 1980 ha lasciato cicatrici che nessun tempo potrà cancellare. Novanta secondi di terrore che hanno cambiato per sempre la storia di questa terra. Case che crollano, polvere e urla, poi il silenzio. Un silenzio che ancora abita i vicoli e i ricordi, che si sente nei racconti dei nonni, negli occhi di chi ha visto tutto. Eppure, da quel dolore è nata una forza che pochi possono comprendere. La forza di ricominciare, di rialzarsi sempre, di credere anche quando la speranza è solo un’eco lontana.

Oggi, in questa promozione, c’è tutto. Il passato e il futuro. Il dolore e il riscatto.

L’Avellino era penultimo dopo cinque giornate. Tre punti, una squadra smarrita. Sembrava già scritto l’ennesimo fallimento, l’ennesima stagione da dimenticare. Invece era solo il momento in cui la storia ha iniziato a cambiare. Raffaele Biancolino, il Pitone, è tornato da condottiero. Da idolo del campo a guida dalla panchina. Ha preso quel gruppo e lo ha trasformato in un branco. Un branco vero, affamato, unito, feroce.

È stata una rimonta furiosa, leggendaria. Una cavalcata che ha ribaltato ogni pronostico, che ha ridato voce a un popolo intero.

Ma non sarebbe bastata solo la passione. Serviva una visione, una guida. E qui entra in scena la famiglia D’Agostino. Quando tutto sembrava perduto, loro c’erano. Non solo imprenditori, ma sognatori con i piedi ben piantati in Irpinia. Hanno creduto, investito, aspettato. Hanno costruito un progetto con cura, passo dopo passo, tra ostacoli e speranze. Giovanni D’Agostino non è solo un dirigente: è un figlio di questa terra, un tifoso, un uomo che sente ogni battito del cuore biancoverde come fosse il proprio.

Est Hirpus. Hirpus perché siamo lupi. Est perché quando prendo quel casello mi sento a casa”.

È tutto lì, in quelle parole. Nella semplicità disarmante del sentimento. Nell’amore che non chiede nulla in cambio, ma sa attendere, curare, sognare. Come quello che si respira oggi tra le strade dell’Irpinia. Tra i bar pieni, le bandiere al vento, gli occhi lucidi e le voci rotte. Perché questa non è solo una promozione. È un abbraccio collettivo, una rivincita sociale, culturale, identitaria.

Lescano, Patierno, e ogni singolo giocatore di questa rosa hanno indossato una seconda pelle. Hanno lottato come uomini prima che come calciatori. Hanno onorato una maglia che non è solo un simbolo: è un’eredità.

Il Partenio-Lombardi oggi vibra di una gioia che ha radici profonde, che arriva da lontano. Dalla polvere, dalle lacrime, dai sogni sussurrati quando sembrava tutto finito. E invece no. I lupi hanno ritrovato la strada. Il branco è tornato a correre.

Bentornato Avellino. Bentornato dove la tua gente non ha mai smesso di aspettarti. Bentornato a casa.

E ora, Irpinia, mia amata terra, festeggia. Festeggia con il cuore in gola, con le braccia al cielo, con le ginocchia ancora sbucciate dalle cadute. Perché questo è il tuo trionfo. Perché qui il calcio è amore, è identità, è memoria. È tutto.

Non c’è sosta, se non sulla cima.