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Gli ultimi due anni e mezzo di Milan: peccati ed errori, colpe ed omissioni

Anche Yonghong Li nell'ultimo tratto di strada del Milan

Primavera 2017-Dicembre 2019: ripercorriamo tutto

Redazione DDD

di Max Bambara -

Dalla primavera del 2017, il Milan ha avuto 2 proprietà diverse (Yonghong Li, fondo Elliott), si sono alternati 2 amministratori delegati (Marco Fassone e Ivan Gazidis, con l’interregno di Paolo Scaroni) e 3 management alla parte sportiva con 3 diversi indirizzi tecnici (Massimiliano Mirabelli prima, Leonardo e Paolo Maldini poi ed ora Zvonimir Boban e Paolo Maldini). Si sono altresì alternati 4 allenatori (Vincenzo Montella, Rino Gattuso, Marco Giampaolo e Stefano Pioli) e sono arrivati 28 giocatori nuovi (della squadra di Doha sono rimasti soltanto Donnarumma, Calabria, Romagnoli, Suso e Bonaventura). In totale sono stati investiti sul mercato, nelle ultime tre sessioni, 325 milioni di euro, somma che risulta nel saldo entrate/uscite.

I problemi del Milan sono tanti, ma possono essere perfettamente riassunti nei numeri sopraelencati che danno uno spaccato preciso e chiaro di cosa è stato il Milan negli ultimi due anni e mezzo: un coacervo di nomi, una girandola impazzita di presidenti, dirigenti, allenatori e giocatori che si sono alternati fra un proclama e l’altro. La mancanza di stabilità quindi è il primo grave ed evidente problema del Milan. Se in due anni e mezzo ci sono tutti questi cambi al vertice e, in conseguenza, in tutti gli altri ruoli apicali, pensare di trovare stabilità è abbastanza utopistico. Le rivoluzioni nel calcio, quasi mai portano risultati positivi. Serve tempo, serve una implementazione delle risorse e dei giocatori e serve soprattutto quello spirito di appartenenza che, per ovvie ragioni, non si può maturare in pochi mesi.

Tutto ciò va unito ad una progettualità tecnica indefinita e concettualmente sbagliata fin da principio. La struttura della squadra è stata infatti creata nell'estate 2017 e, da allora, i limiti dell'organico non sono mai stati sanati. Si è provato con qualche palliativo, ma non si è mai usciti dall’equivoco principale. Il Milan infatti, ancora oggi, è l'unica squadra in Europa che gioca un 4-3-3 senza ali pure, in cui il centravanti viene puntualmente penalizzato. Suso e Calhanoglu sono gli esterni titolari che non hanno cambio di passo e tendono sempre ad accentrarsi per trovare lo spunto. In più entrambi tendono a volere la palla sui piedi e a non attaccare mai lo spazio. In una rosa che da 3 anni applica il 4-3-3, non avere nemmeno un esterno offensivo in grado di strappare e di creare superiorità numerica nell'uno contro uno è una lacuna troppo grave per non essere evidenziata. Se le riserve sono Castillejo e Borini (giocatori esclusivamente di corsa), è normale che i titolari saranno sempre Suso e Calhanoglu.

La squadra inoltre ha scarsa fisicità. L'unico giocatore di struttura in mezzo al campo sta vivendo un periodo di crisi tecnica e personale (Kessiè). L'anno scorso la presenza di Bakayoko nel ruolo di play basso ha permesso al Milan di avere un maggior impatto fisico in certe partite, sacrificando però ancora di più la fase offensiva in quanto Baka non aveva tempi di gioco. Il Milan, in ragione di questi limiti, va in grande difficoltà ogni volta che un avversario tiene i ritmi alti. L'Atalanta lo ha saputo fare per quasi un’ora ed è l'unica squadra in Italia che riesce a farlo quando sta bene. Quest'atteggiamento ha messo in grande evidenza quelle che sono le lacune reali di questo Milan che, non appena si alza il livello dell'intensità, inizia a giocare a nascondino. Era già accaduto qualcosa di simile nella partita di andata degli ottavi di finale dell'Europa League nel marzo 2018 contro l'Arsenal. Finì 2-0 per l'Arsenal ma, soltanto nel primo tempo, il parziale avrebbe potuto essere molto più pesante. Seppure le dimensioni del risultato di quella partita non sono paragonabili, molti temi di quella gara sono emersi anche nella gara di Bergamo di domenica scorsa.

Bisogna uscire dall'equivoco tecnico in cui il Milan è piombato nell'estate del 2017: quella campagna acquisti non ha creato basi stabili, perchè è stata profondamente sbagliata nella filosofia ispiratrice ed ancora oggi condiziona chi arriva sia per l’entità degli investimenti, sia perchè non è semplice rivoluzionare una squadra in una singola sessione di mercato. Oggi il 4-3-3 è un modulo che in Italia fa solo il Napoli (peraltro da sole due partite). Le squadre che segnano di più sono quelle che giocano con due punte vicine e che hanno gli esterni senza piede invertito (Atalanta, Lazio e Inter), capaci di dare ampiezza al campo e di crossare per assistere le punte. Non è casuale che siano anche le tre squadre maggiormente verticali della Serie A: un aspetto, la verticalità, che al Milan manca moltissimo nella sua struttura di campo, dato che è una squadra composta, dal centrocampo in sù, prevalentemente da giocatori che vogliono il pallone sui piedi ma che, salvo alcune situazioni, difficilmente verticalizzano di prima.

Insomma i problemi della squadra rossonera sono tanti e andrebbero pesati con accortezza sulla bilancia della logica e del buonsenso. Continuare a ragionare su soluzioni esclusivamente individuali non è una buona idea: il calcio è e rimane uno sport collettivo che va valutato in una dimensione collettiva. In Italia invece vi è la presunzione di ritenere che le sconfitte siano colpa di Tizio e di Caio, risolvendo tutto con le crociate contro un singolo giocatore, con i brindisi all’esonero di un allenatore e con l’invito alle dimissioni di un dirigente dopo un ciclo di sconfitte. Se bastassero le soluzioni individuali, il calcio sarebbe un’altra cosa. Purtroppo, o per fortuna, non è così.

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