di Max Bambara -


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Un allenatore da celebrare: Stefano Pioli ed i suoi meriti indiscussi nel momento attuale del Milan
Un anno fa, precisamente all’inizio di ottobre del 2019, Stefano Pioli era divenuto, suo malgrado, l’oggetto principale di una contestazione volgare, fine a sé stessa, talebana nei contenuti e nella portata argomentativa.
Il Milan di oggi, primo in Serie A con 13 punti su 15, primo nel suo girone di Europa League a punteggio pieno, reduce da 23 risultati utili consecutivi, capace di segnare almeno due reti nelle ultime 12 partite, non è una creatura mitologica, nata per caso dall’idea primordiale di qualche divinità greca; è, semmai, la stessa squadra di un anno fa, con qualche innesto più che ha cambiato completamente la sua prospettiva, ma con tanti uomini ieri sul banco degli imputati ed oggi considerati imprescindibili. Uno su tutti e sopra tutti, il suo attuale allenatore. Eppure se proviamo a riavvolgere il nastro dei ricordi, otterremo dei flash back emblematici, utili a farci riflettere su quanto i giudizi nel calcio siano figli degli umori e su quante volte, probabilmente troppe, si eccede nel diritto di critica, finendo per emanare sentenze inappellabili.
Un anno fa, i tifosi del Milan non avevano gradito il mancato accordo fra la società rossonera e Luciano Spalletti; aleggiava la netta sensazione che Pioli fosse una scelta secondaria, quasi di ripiego e in più, sul tecnico emiliano, era stata appiccicata da tempo l’etichetta di allenatore non adatto ad una grande squadra. Non c’era un motivo specifico per sostenere questa tesi, anche perché Stefano Pioli era stato l’allenatore che aveva riportato la Lazio in Champions League nel 2015 e che aveva fatto bene all’Inter per molti mesi, prima che i giocatori intuissero che il tecnico emiliano era stato scaricato dalla società ed iniziassero, com’è d’uopo in questi casi, a ragionare senza più guardare al collettivo. Le sue dimissioni a Firenze poi, erano state un atto di onestà e purezza, doti forse troppo sottovalutate nel calcio. I fatti dei mesi successivi si sarebbero incaricati di dimostrare, nella loro portata cronistica (con la squadra viola ad un passo dalla retrocessione in Serie B), quanto alta fosse la bontà del lavoro svolto da Pioli nella città toscana. Stefano Pioli al Milan non ha soltanto ottenuto grandi risultati; è stato in grado di sconfiggere i pregiudizi senza farlo pesare. Poteva mostrare i muscoli in queste settimane, poteva dare risalto a sé stesso ed ispirare il titolo di qualche giornale con qualche frase studiata a tavolino, utile a mettere in luce la propria persona. Eppure ha scelto consapevolmente di non farlo. Perché Pioli è così: parla al plurale maiestatis perché ci crede davvero e quando gli fanno qualche domanda personale, è abile a deviarla, dirottando le luci della ribalta sulla squadra, sui suoi ragazzi, sul gruppo, sul Milan come entità unica, dal Presidente all’ultimo degli inservienti.
In un mondo nel quale il narcisismo domina e i personalismi sono abusati, Stefano Pioli è una piacevole eccezione. La sua bonomia è reale, non ha nulla di artefatto, è figlia della sua cultura di vita. I tifosi del Milan hanno imparato ad apprezzarla ed hanno finalmente capito che sulla panchina della squadra rossonera c’è una persona vera ed un allenatore di valore. Qualcuno, forse anche più di qualcuno, si è cosparso il capo di cenere per quell’hashtag, #Pioliout, così ineducato, così poco rossonero, così ingiusto anche, a prescindere da come poi è andata, perché il tifoso milanista si riconosce per il rispetto e per l’amore che dà a tutti i professionisti che onorano la maglia del Milan. La vittoria più grande di Pioli è stata quelle di riunire il tifo rossonero senza togliersi alcuna pietra dalla scarpa. Quest’allenatore infatti non ha bisogno di celebrarsi per dare un senso a sé stesso. Merita però di essere elogiato per il lavoro che sta facendo e per la capacità unica che ha avuto di tenere la barra dritta quando tutto sembrava avvolto nelle tenebre. Pioli ha saputo essere l’allenatore migliore per gestire l’ingresso di Ibrahimovic in questo gruppo (che non era così semplice visto il carattere forte di Zlatan); il tecnico ne ha assecondato il carattere da star e ha cercato sin da subito di trovare la veste tattica migliore per esaltare le qualità dello svedese. Negli ultimi 9 mesi poi, Pioli è stato poi bravissimo nel far diventare certezze tanti talenti inespressi come Hakan Calhanoglu, Theo Hernandez, Ismael Bennacer, Frank Kessiè, Ante Rebic, Rafael Leao, Alexis Saelemekers che oggi sono la vera base del presente e del futuro del Milan.
Il tecnico emiliano ha plasmato una squadra facendo una scelta forte nel mese di gennaio, ossia scegliendo di mettere in soffitta un modulo (4-3-3) che era diventato la coperta di Linus di questa squadra; facile rifugio nei momenti difficili, quando il vento di procella soffiava molto forte, ma al contempo anche un limite grande nella crescita della dimensione offensiva del Milan. Oggi, nel momento in cui il Milan viene elogiato in maniera sperticata da addetti ai lavori, tifosi e appassionati di calcio, ci pare doveroso dedicare un pensiero a questo signore che non ha bisogno di essere autoritario per avere autorevolezza e che, pur non avendo una storia rossonera alle spalle, ha capito in pieno che cosa significa allenare il Milan.
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