"La Juventus è una figlia di papà. Di papà Agnelli, di Edoardo e di tutta la generazione a venire. La Juve è stata la squadra di Charles, di Sivori, Platini, Baggio, Zidane. Il Torino invece è stato figlio della madre di tutte le sciagure: Superga. Andrei al di là della solita divisione convenzionale di una Juventus aristocratica e di un Torino popolare. Direi che la Juve è la squadra che si è tolta tutti gli sfizi, mentre il Toro spesso è stato costretto a scendere a patti con il destino". La frase è del giornalista Roberto Beccantini e fotografa le due anime e le due storie di una città.
LOTTA DI CLASSE E DERBY CALCISTICO
Torino, un derby e le sue lotte sociali: juventini sofisticati, granata tutto il contrario
C’è chi ha il destino apparecchiato e chi invece deve affrontarlo ogni giorno, anche questo è il derby di Torino
Torino è il punto d'osservazione giusto per fotografare lo scorrere del fiume di una città riletto attraverso le differenze storiche fra le due squadre di calcio che la rappresentano. Stefano Radice nel libro "Storia sociale di un diverso permanente" analizza e rievoca: "La Juventus e il Torino hanno rappresentato entrambe le anime della città a seconda dell’intensità assunta nel corso degli anni dal conflitto sociale e dalle trasformazioni produttive. La Juventus, secondo la famosa interpretazione socio-cromatica datane dallo stesso Mario Soldati, incarna soltanto questa seconda Torino: “Il mondo della borghesia contro il mondo del proletariato? Pare di sì. E perfino i colori sembrano confermarlo: le strisce e il bianco e il nero, prova di anglicismo, di eleganza, di sofisticheria; il granata, nella sua semplicità, di tutto il contrario. La Juventus implacabile e vittoriosa dei cinque campionati consecutivi degli anni Trenta si lega all’immagine di una città efficientistica, distaccata e attenta ai risultati e a quel Piemonte e a quella Torino “universalmente noti per giudiziosità, signorilità, tenacia, perseveranza e misura in tutte le cose”. Se il tifo juventino è solo ingordo di certezze vittoriose, quello del Toro negli anni Trenta e per un decennio oltre il dopoguerra rimane tifo di “classe, popolare e proletario”, animato da un intento di ribellione alle idee correnti e che trova nella conservazione e nell’esaltazione dei “miti dello slancio, della spontaneità, dell’irrazionalità e del coraggio” la propria caratteristica originaria. Consapevole di essere minoranza sotto il peso dell’incombente massificazione del tifo juventino, i granata mostrano la propria diversità nella passionalità ma anche nell’ironia e nell’umorismo popolare".
Tutto questo poi sfocia nelle logiche diverse del dopoguerra, del Triangolo industriale: "La nostalgia della vecchia Torino riconduce nelle file dei tifosi granata quelli che considerano il dialetto piemontese come segno di una identità che si sta perdendo, chi ripensa con nostalgia alla città “dei seicentomila abitanti” e quanti in fondo non cessano di rimpiangere il passato prossimo, con il loro carico di sconfitte ma con un senso di appartenenza non incrinato dai dubbi. L’“operaio massa”, l’operaio immigrato dalle regioni del Sud sceglie invece con spontanea naturalezza la Juventus, gli ambiti territoriali in cui vive e si lavora finalmente coincidono con quelli in cui si va allo stadio e si “tifa” bianconero. La Juventus non è più la lontana espressione di un sogno di vittoria, raggiungibile solo attraverso i giornali, la radio, la televisione, ma un’entità incredibilmente vera, concreta, visibile, continuamente a portata di mano. Una realtà bella, divertente e spesso vincente". Ed è così ancora oggi, al netto delle differenze tecniche espresse dal campo.
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