Serie A

Como-Inter, Mctominay infrange i sogni nerazzurri: per Fabregas la fine dell’inizio

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Tanti i temi sollevati dalla partita, dalle riflessioni in casa Inter alle grandi radici poste dal Como per il futuro. Da segnalare anche il ritiro di un grande campione come Pepe Reina
Alessandro Savoldi
Alessandro Savoldi

In una serata amara, l’Inter passa per 0-2 in casa del Como. Si tratta del secondo scudetto sfumato all'ultima giornata in quattro anni di Inzaghi, nonostante in entrambi i casi i nerazzurri arrivassero all’appuntamento finale da inseguitori. Per i lariani, invece, è stata l’ultima partita di una stagione dal sapore dolce nonostante il risultato del Sinigaglia di venerdì sera. Ai saluti Pepe Reina, che appende i guantoni al chiodo con un’espulsione.

La speranza dell'Inter dura meno di un tempo

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Partiamo dalla fine: l’Inter chiude il campionato, salutando i suoi tifosi nel settore ospiti, con gli occhi spenti e il capo chino. Quella arrivata al Sinigaglia è una vittoria molto più amara che dolce. Dopo il gol di De Vrij i nerazzurri avevano coccolato per una ventina di minuti scarsi il sogno scudetto, spazzato via da una rovesciata di McTominay. Poi, nel secondo tempo, il momento in cui la botta è arrivata più forte: Correa segna un bel gol per lo 0-2 che certifica i tre punti, vista anche la superiorità numerica. In contemporanea, a Napoli, Lukaku chiude la partita. Fine dei giochi su entrambi i campi: il secondo tempo è stato sostanzialmente un lento e doloroso incedere delle lancette per i tifosi dell’Inter, estatico per quelli del Napoli.

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Meno solidità e troppi gol subiti: così l'Inter ha perso il campionato

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L’Inter era, ai nastri di partenza, nettamente la squadra favorita. Lo era per status, per esperienza e per profondità della rosa. Giornata dopo giornata, però, è mancata la grande costante dello scorso anno: la solidità. La solidità difensiva, con i tantissimi gol in più concessi rispetto all’annata precedente, 35 a 22, quasi il doppio. La solidità psicologica: quest’anno l’Inter ha perso dodici punti da situazioni di vantaggio. Vinceva 1-2 a Marassi alla prima giornata, 4-2 in casa con la Juventus nel pazzo pareggio dell’andata, vinceva 2-1 in casa con il Bologna, vinceva 0-1 a Napoli, vinceva 0-2 a Parma, infine vinceva 2-1 a San Siro contro la Lazio settimana scorsa.

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La delusione dei giocatori dell'Inter dopo il pareggio contro la Lazio. (Foto di Mattia Pistoia-Inter/Inter via Getty Images)

Sei pareggi, tutti maturati nel finale di partita e alcuni dei quali evitabili, che dimostrano come l’Inter più volte abbia avuto sulla racchetta la pallina per chiudere gioco, partita e incontro. Tuttavia, il vincente non è mai arrivato, anzi, contro Parma e Lazio, per proseguire con un'altra metafora tennistica, due smash a campo aperto sono finiti dritti sul nastro. L’anno scorso, invece, nel momento decisivo della stagione, erano bastati tre 1-0, con Fiorentina e Juventus prima e Bologna poi, per ipotecare lo scudetto. Quando la Juve aveva iniziato a perdere colpi lo squalo nerazzurro aveva sentito l’odore del sangue e aveva azzannato il campionato, cosa che quest’anno non è successa.

Tra riflessioni, finale di Champions e un futuro da preparare

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A questo punto viene naturale chiedersi: di chi è la colpa se l’Inter non ha vinto lo scudetto? La soluzione è molto più complicata di quanto possa sembrare, oltreché allo stesso tempo la più naturale ed è… di tutti. Partendo dai giocatori, passando per l’allenatore e arrivando ai dirigenti. La squadra, in tutti i suoi membri a rotazione, ha peccato a volte di presunzione, mentre in altre occasioni ha steccato in momenti chiave per completare il puzzle. Inzaghi ha sbagliato alcune scelte, come a Parma per esempio. E in un campionato deciso per un punto ogni singolo dettaglio fa la differenza.

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La dirigenza ha fatto il resto: il mercato che “ci credi che è già finito”, come disse Ausilio dopo il derby scudetto dello scorso anno, è stato un grande flop. Lo è stato perché Zielinski ha dato un contributo semi-nullo alla causa tra problemi fisici e un’integrazione soltanto parziale negli schemi di Inzaghi. Anche Taremi, quella terza punta che tanto avrebbe dovuto fare la differenza, in realtà mai è riuscito a essere una vera alternativa per Lautaro e Thuram.

Lo è stato perché si è sottovalutata l’importanza di avere un ricambio affidabile in alcuni ruoli nevralgici, come il vice-Calhanoglu. Insomma, l’Inter quest’estate avrà parecchio da fare, tra l’aggiunta di nuovi giocatori per allungare la panchina e il rimpiazzare alcuni titolari, Mkhitaryan su tutti, che iniziano ad avere una certa età. Solo allora, con dei colpi funzionali e funzionanti, i nerazzurri potranno ambire davvero a lottare in tre competizioni come tanto proclamato quest'anno.

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Prima, però, c’è una finale di Champions League da giocare. Quella finale che era un sogno, poi è diventata obiettivo e infine si è trasformata in realtà. Una vittoria sarebbe la ciliegina sulla torta di un ciclo che comunque, in questi quattro anni, è da ritenersi più che positivo. Alzare al cielo la coppa dalle grandi orecchie consentirebbe ai nerazzurri di vivere con più serenità un processo di rinnovamento che non può più essere posticipato, nonostante il Mondiale per Club.

Como, l'Europa non è lontana

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Spostiamoci una trentina di chilometri più a nord, sponda Como. Anche per il Como quest'estate può essere già un primo snodo importante. Dopo l’arrivo in Serie A i lariani hanno dimostrato di voler ambire a grandi cose. Un mercato di gennaio ben riuscito ha dato serenità all’ambiente e alla squadra, che nella seconda metà della stagione ha raccolto quanto seminato nel girone d’andata. Il rendimento del ritorno è infatti da lotta per l’Europa.

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Un obiettivo che, a sensazione, per l’ambizioso Fabregas è molto più vicino di quanto possa sembrare ai nostri occhi. Tanto passa, come detto, dai prossimi mesi. Il primo punto è la conferma di Nico Paz: l’argentino è calato nel finale ma è comunque merce rara. Completo di capacità tecniche, tattiche e mezzi fisici, con la testa sulle spalle può diventare un campione. E per il Como confermarlo, dopo aver praticamente blindato ancora per un anno Fabregas, farebbe tutta la differenza del mondo.

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Al suo fianco ci saranno sicuramente tanti giocatori giovani e forti che il Como ha voluto e su cui l'allenatore di Arenys de Mar ha lavorato alla grande. Ci sarà Diao, ora infortunato e grande rivelazione del girone di ritorno, ci sarà un ritrovato Caqueret e, infine, probabilmente ci sarà anche Maxi Perrone. Il mediano di proprietà del Manchester City resterà sulle rive del Lago preferito dalle star di Hollywood almeno per un'altra stagione. Occhio anche a lui, meno chiacchierato e appariscente di Paz ma altrettanto talentuoso e promettente.

L'addio di Pepe Reina dopo Como-Inter

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Il modus operandi del Como sul mercato di puntare su ragazzi giovani e funzionali alle richieste di Fabregas ha pagato dividendi. C’è da pensare anche al sostituto di Pepe Reina, secondo portiere che portava al gruppo esperienza e leadership. Nonostante il rendimento, per usare un eufemismo, negativo, nessuno si è mai permesso di mettere in dubbio l’estremo difensore spagnolo. Reina ha deciso di dire basta, alla veneranda età di 42 anni. Lo fa con un’espulsione ma a testa alta. Una figura come lui, siamo certi, è stata un faro per un gruppo giovane, divertente e, alla fine, anche vincente. Se il Como chiude al decimo posto, nella parte sinistra della classifica, da neopromossa, un po’ del merito è anche del carisma di Pepe.

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Il nativo di Madrid si ritira dopo 746 partite da professionista, tra Barcellona, Villarreal, Liverpool, Napoli, Bayern Monaco, Milan, Aston Villa, Lazio e Como. Una carriera di grande livello, coronata con due Europei e un Mondiale con la Spagna. Se nel suo prossimo capitolo da allenatore Reina avrà tanto successo quanto ne ha avuto sul campo ci sarà da divertirsi.