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La storia

Brasile-Cile, i grandi protagonisti del passato da Ronaldo a Zamorano

Silvia Cannas Simontacchi
Silvia Cannas Simontacchi
Ronaldo e Zamorano, due simboli opposti di Brasile e Cile. Il Fenômeno, devastante con la doppietta del ’98 che chiuse i sogni della “Sa-Za”. Bam Bam, capitano generoso, trascinò la Roja con gol e carisma, lasciando un’impronta indelebile
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Tutti, da bambini (e spesso anche da adulti) hanno sognato almeno una volta di indossare la maglia verdeoro: la più luminosa, la più vincente, quella con più stelle di tutte. I suoi colori riempiono gli occhi: abbassi le palpebre e sei sulla spiaggia di Copa Cabana, a palleggiare a piedi nudi, due paia di infradito a fare da pali, nell’aria un leggero profumo di menta e le note di una samba, in un’eterna golden hour. Non si può dire Brasile senza dire calcio e all’estremo opposto del continente, il Cile. Piccolo e orgoglioso, stretto tra le onde del Pacifico e la cordigliera delle Ande. Qui non si pratica il futebol bailado, e la maglia della Roja non è mai stata un accessorio di moda: è un vessillo da difendere con le unghie e con i denti. Il calcio cileno somiglia a un sogno bellissimo, destinato a sbiadire con l’alba. Con un golpe che zittisce le canzoni, con il lampo gelido di un bisturi sul viso di un portiere, o semplicemente per un karma pesante. Ma un sogno che si interrompe non è meno intenso.

Se in Brasile il calcio è gioia, danza e festa, in Cile è malinconia struggente. È la sfida tra eroi e antieroi, tra chi sembra nato per vincere e chi deve lottare per esistere. Un dramma perfetto.

Brasile e Cile, Ronaldo O Fenômeno, l’eroe verdeoro

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Rio de Janeiro, 18 settembre 1976. Nessuno ancora lo sa, ma quello sarà un giorno fortunato per il calcio, in un anno già fortunato. È l’anno di Totti, Nesta, Shevchenko, Seedorf e Recoba. Ma il 18 settembre appartiene a uno solo. Nel quartiere popolare di Bento Ribeiro nasce Ronaldo Luís Nazário de Lima. Per tutti, semplicemente Ronaldo. Per il mondo intero, molto presto, O Fenômeno: il miglior attaccante centrale della storia del calcio. Il muro contro cui si infrangeranno anche i sogni più belli del Cile.

La vita è ciò che accade tra un Mondiale e l’altro, e nel suo caso non esiste frase più vera. Con la Seleção maggiore ha collezionato 98 presenze e 62 reti, secondo miglior marcatore di sempre, dietro soltanto a Pelé. E pensare che il suo primo allenatore lo aveva messo in porta.

Forte, rapido, imprevedibile. Rasato come un Hare Krishna, zigomi sporgenti e sorriso largo, prima ancora di avere l’età per guidare aveva già vinto il titolo mondiale di USA ’94, senza aver giocato nemmeno un minuto. Ma non era un campione del mondo per niente: reduce da una stagione da prodigio al Cruzeiro, era volato in Europa, sulle orme di Romario. Prima al PSV Eindhoven, poi al Barcellona, dove nella sola stagione 1996/97 segna 34 reti e diventa, a soli 21 anni, la nuova (forse, la prima) star del calcio mondiale. Quell’estate, per quasi 50 miliardi di lire, arriva a Milano, sponda Inter.

Sono gli anni dell’esplosione mediatica del calcio e Ronaldo è ovunque: anticipa il calcio da PlayStation degli anni Duemila, è il volto della Nike e dell’estetica Total 90, è il protagonista di quello spot all’aeroporto di cui ancora tutti parliamo. Ma, soprattutto, in campo è devastante: asciutto, velocissimo, spietato. La Curva Nord canta “Il Fenomeno ce l’abbiamo noi”, e lui chiude la sua prima stagione nerazzurra con 25 gol in Serie A e 34 in totale, alzando il Pallone d'oro e il FIFA World Player Award. Piace a tutti, e come potrebbe essere altrimenti?

Il suo ricordo più vivido, per i cileni, è il 27 giugno 1998, a Parigi. Ottavi di finale del Mondiale: Brasile-Cile 4-1. Cesar Sampaio segna le prime due reti, ma Ronaldo cala la doppietta che mette la parola fine alle speranze della Roja. Due gol da predatore, accelerazioni, dribbling e conclusioni che travolgono i difensori. Quella notte segna il divario tra una nazionale generosa e un Brasile che poteva permettersi un attaccante capace di decidere tutto da solo. Fu anche la fine del sogno della coppia Zamorano-Salas, spazzato via dal Fenomeno. Da allora, su ogni Brasile-Cile l’ombra di Ronaldo aleggia inevitabile, lunga come quella del Cristo Redentore.

Poi arriva il 12 luglio 1998: la finale di Parigi, Brasile-Francia 0-3. Ronaldo ha un malore poche ore prima, cade con le convulsioni davanti a Roberto Carlos, ma poi giocherà lo stesso. Quel giorno, a infrangersi fu il suo sogno. Non sarebbe finita lì: c’era ancora il Mondiale in Corea e Giappone, quattro anni dopo, dove tornare da capocannoniere e campione del mondo. In mezzo altri trionfi, un altro Pallone d'oro, le notti europee con il Real Madrid, la tripletta all'Old Trafford e persino un gol segnato all'Inter indossando la maglia del Milan.

La sua carriera, segnata da infortuni e scandali, non fu più la stessa. Ma rimase comunque eccezionale. Niente potrà portargli via l’aura di un eroe che, anche quando cade, continua comunque a brillare.

Ivan Zamorano, l’antieroe cileno

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Santiago del Cile, 18 gennaio 1967. Nasce Iván Luis Zamorano Zamora, l’uomo che negli anni ’90 darà un volto alla Roja, la Stella Polare per un’intera generazione di tifosi cileni. Trascinatore, leader carismatico e attaccante esplosivo, “Bam Bam” incarnava l’orgoglio calcistico di un paese che aveva dovuto troppo spesso rinunciare a sognare, a volte proprio mentre stava per toccare il cielo con un dito.

In campo lo chiamavano El Terible. Stradivari del gioco aereo, da bambino si allenava a saltare cercando di colpire con la testa il lampadario nel corridoio di casa. Centimetro dopo centimetro, l’ostinazione che scorre nel suo sangue Mapuche lo porta fino in Europa, nella terra dei conquistadores che i suoi antenati erano riusciti a respingere per tre secoli. Dopo gli inizi a Siviglia, l’occasione della vita arriva con il Real Madrid: e Zamorano la coglie, con la solita fame. In quattro stagioni, segna 103 goal in 178 partite. I quegli anni, sono numeri da top indiscusso, che gli valgono il passaporto per il campionato più bello del mondo, la Serie A.

Nel 1996 Massimo Moratti lo vuole all’Inter, e gli consegna le chiavi dell'attacco nerazzurro. Sotto il segno del Biscione, nel 1998 conquista la Coppa UEFA, firmando uno splendido 3-0 nella finale contro la Lazio. Un anno dopo, a Milano sarebbe arrivato anche Ronaldo. I loro mondi erano destinati a incrociarsi.

Capitano e leader indiscusso, con la Roja Zamorano colleziona 69 presenze e 34 gol tra il 1987 e il 2001, riportando il Cile al Mondiale dopo 16 anni di esilio. Più attento alla sostanza che alla forma, proprio lui che secondo Jorge Valdano sembrava caduto dal cielo, El Terible trascina la sua squadra attraverso le qualificazioni, realizzando gol pesantissimi come la celebre quaterna contro il Venezuela nel 6-0 di Santiago, il 29 aprile 1997. È disposto a caricarsi la Roja sulle spalle, pur di farla sognare.

Nel Mondiale francese, forma con Marcelo Salas la temutissima coppia “Sa-Za”: insieme firmano la fase a gironi e portano il Cile agli ottavi. Ma lì ad aspettarli c’è il Brasile di Ronaldo, che travolge la Roja 4-1. Sarà l’ultima danza di Zamorano in una competizione mondiale, ma il cileno aveva ancora molto da dare.

Proprio lui, che in quell’occasione aveva dovuto inchinarsi al Fenomeno, è il primo ad accoglierlo. La generosità di Zamorano è così grande da concedere al brasiliano di indossare la maglia numero 9, la sua: "Dopo quello che era successo ai Mondiali del 1998, Ronie viveva un periodo delicato. Tutti avevamo capito che bisognava fare qualcosa per fargli sentire quanto fosse davvero speciale per noi e decisi di lasciargli la mia '9' – racconta il cileno. “Mazzola mi aveva suggerito di ripiegare su una somma: 18, 27... così sono andato subito da Moratti, e gli ho chiesto se era possibile mettere un + tra i due numeri”.

Fa strano pensare a un top player che gioca con un pezzo di nastro adesivo a forma di più incollato sulla schiena, eppure va a finire proprio così, e non esiste trovata che possa essere più in linea con il personaggio. La nuova maglia di Zamorano va a ruba, e alla fine la Nike inizia addirittura a produrla con il segno già stampato. Zamorano non ha mai vinto un Mondiale né la Copa América, ma ha comunque lasciato un segno indelebile. Per il Cile è l’antieroe che ha dato un volto e una voce a un calcio che ha quasi sempre vissuto di malinconia. E se i sogni della Roja si sono infranti contro la forza del Brasile, è vero anche che senza l’ostinazione e la classe di Bam Bam difficilmente sarebbero esistiti.