Il calcio scrive oggi uno dei suoi capitoli più affascinanti e inattesi: Carlo Ancelotti è ufficialmente il nuovo allenatore del Brasile. Una notizia che scuote le fondamenta del pallone globale, perché unisce due universi calcistici profondamente diversi, l’equilibrio tattico e la compostezza europea da una parte, l’estro, la tecnica e la passione sudamericana dall’altra, sotto la guida di un uomo capace di fare della sintesi e dell’armonia la sua cifra distintiva.
Il filmato
ESCLUSIVA, Ancelotti-Brasile: da Capello a Zola, la benedizione dei grandi (VIDEO)

ATHENS, GREECE - MAY 23: Carlo Ancelotti, the manager of AC Milan jolds the trophy aloft in celebration following his teams 2-1 victory during the UEFA Champions League Final match between Liverpool and AC Milan at the Olympic Stadium on May 23, 2007 in Athens, Greece. (Photo by Alex Livesey/Getty Images)
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Dopo aver vinto praticamente tutto in carriera, nei club più prestigiosi del mondo, dal Milan al Real Madrid, passando per Chelsea, Bayern Monaco e PSG, Ancelotti affronta ora una sfida nuova, ambiziosa e culturalmente straordinaria: portare il Brasile alla conquista del suo sesto titolo mondiale, un traguardo che manca dal 2002 e che rappresenta un’ossessione nazionale. E se c'è qualcuno capace di gestire la pressione, lavorare nel silenzio e costruire legami forti con i suoi giocatori, quel qualcuno è proprio "Carletto".
Il suo stile, fatto di autorevolezza pacata, intelligenza gestionale e umanità autentica, ha lasciato un segno profondo nei cuori di tanti calciatori che ha allenato. Non semplici interpreti in campo, ma spesso uomini diventati migliori grazie al suo esempio. Proprio per questo, in occasione di questo storico annuncio, abbiamo raccolto i messaggi speciali di alcuni dei suoi ex giocatori più affezionati. Un “in bocca al lupo” corale, sincero, che racconta più di mille parole il rispetto che Ancelotti ha saputo guadagnarsi nel tempo.

Ancelotti e la tattica: dietro al sorriso, un laboratorio silenzioso
—Prima di analizzare la nuova avventura di Ancelotti al Brasile, ripercorriamo le tappe della sua carriera. Tatticamente, è l’anti-dogmatico per eccellenza. Nessuna filosofia scolpita nel marmo, ma una bussola fatta di equilibrio, libertà e intelligenza. Dal 4-4-2 rigido degli inizi al 4-3-2-1 "ad albero di Natale" del Milan, fino ai moduli fluidi del Real e del Bayern, ha sempre adattato le sue idee agli uomini, non il contrario. Con lui, il talento è sempre stato un valore da esaltare, non da ingabbiare.
Più che un tattico ossessivo, è un armonizzatore. Fa sentire ogni giocatore importante, lascia che i campioni si esprimano con spontaneità, protegge il gruppo con il suo stile sobrio. È un allenatore che non ha mai voluto essere protagonista, e proprio per questo ha lasciato che a parlare fosse il campo, con risultati che oggi parlano in tutte le lingue del calcio.
L’albero di Natale (4-3-2-1)
—Nel Milan dei primi 2000 ha reinventato il modo di giocare tra le linee. Il suo celebre “albero di Natale” nasce per dare libertà a due trequartisti (Kaká e Rui Costa, poi Kaká e Seedorf) dietro una punta (Shevchenko, poi Inzaghi), sostenuti da un centrocampo tecnico e geometrico. Un sistema che ha ispirato molti allenatori dopo di lui, incluso Zidane.
Pirlo regista, una rivoluzione silenziosa
—È stato Ancelotti a trasformare Andrea Pirlo da mezzala offensiva a regista davanti alla difesa. Una decisione che ha cambiato la carriera del giocatore e la storia del ruolo. In un calcio che cercava muscoli, lui ha scelto la mente. "Il mio regista ha i piedi di un 10", diceva. Oggi è una mossa da manuale.
Moduli flessibili, mai rigidi
—Ancelotti è un maestro della flessibilità tattica. Non si è mai fossilizzato su un solo schema: ha usato il 4-4-2 a Parma e alla Juve, il 4-3-2-1 e il 4-3-1-2 al Milan, il 4-3-3 al Real Madrid e al Bayern, perfino un 4-2-3-1 al PSG. Cambia per esaltare i suoi giocatori, non per imporre un’idea.
Pochi automatismi, tanta lettura del gioco
—I suoi allenamenti non sono basati sull’automatismo, ma sulla lettura delle situazioni. Chiede ai suoi di interpretare, non di memorizzare. Per questo è amato dai campioni: si sentono liberi di esprimere talento e intelligenza calcistica.
La gestione delle stelle
—Da Zidane a Kaká, da Ronaldo a Benzema, passando per Ibrahimović, Drogba, Thiago Silva, Modrić e Vinícius Jr e tanti altri, Ancelotti è probabilmente l’allenatore che ha gestito meglio le grandi personalità. Il suo segreto? Empatia, ascolto e nessun ego. Una leadership "morbida", ma rispettata.
Il pressing? Con misura. L’intensità? Quando serve
—Non è mai stato un fanatico del pressing alto, né dell’aggressività cieca. Preferisce una squadra compatta, con distanze giuste e lettura intelligente. "Il calcio non è guerra. È intelligenza, è armonia", ha detto una volta. Non ha bisogno di urlare per farsi capire.

Courtois con Carlo Ancelotti dopo la vittoria della Champions in finale contro il Borussia Dortmund. (Photo by Alexander Hassenstein/Getty Images)
Ancelotti al Brasile: l'omaggio degli ex
—Quando Ancelotti iniziava la sua carriera da allenatore al Parma, tra il 1996 e il 1998, costruiva già quel profilo che lo avrebbe portato a diventare uno dei più grandi allenatori del pianeta. In quelle stagioni, al Tardini, ha allenato talenti puri come Faustino Asprilla, l’attaccante colombiano dal talento imprevedibile, e Luigi Apolloni, colonna difensiva del Parma e uomo d’ordine che incarnava la disciplina tattica voluta da Carletto.
Nello stesso biennio, ha avuto sotto la sua guida anche Gianfranco Zola, un artista del pallone, capace di inventare calcio e dare fantasia al gioco di Ancelotti.
Ma il legame con i grandi nomi non si limita a quelli che ha allenato. Ancelotti è stato anche calciatore, e uno di quelli importanti. A fine carriera fu allenato da Fabio Capello nel Milan del 1991-92, un’esperienza che lo ha segnato profondamente. Capello, vincente e rigoroso, contribuì a plasmare la mentalità del futuro allenatore.
Tornando ancora più indietro, troviamo Zbigniew Boniek, suo compagno di squadra alla Roma nella stagione 1985-86. Due visioni diverse del calcio: il genio polacco e il regista italiano, insieme sotto la guida di Sven-Göran Eriksson in una Roma che sfiorò lo scudetto.
E ancora, Giuseppe Pancaro, terzino di affidabilità granitica, è stato allenato da Ancelotti al Milan dal 2003 al 2005. Durante questo periodo, Pancaro ha contribuito alla vittoria della Serie A nella stagione 2003-2004 e ha preso parte alla cavalcata europea che portò i rossoneri fino alla finale di Champions League del 2005, ad Istanbul.
Inoltre Filippo Galli, ex difensore centrale, che ha condiviso lo spogliatoio con Ancelotti nel Milan dal 1987 al 1992. Insieme hanno vissuto anni d’oro sotto la guida di Arrigo Sacchi e Fabio Capello, contribuendo alla vittoria dello scudetto nella stagione 1987-1988 e alla costruzione di uno dei Milan più iconici della storia.
Ora, con Ancelotti al Brasile entra in una dimensione ancora più globale. Ma nel suo bagaglio di esperienza, insieme ai trofei, porta anche le storie di questi uomini che, in un modo o nell’altro, hanno camminato al suo fianco. Il futuro è verdeoro, ma le radici sono profondamente intrecciate con il cuore del calcio europeo.
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