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Il tifo

Manchester City-Liverpool: la sfida delle curve tra tradizione e modernità

Silvia Cannas Simontacchi
Silvia Cannas Simontacchi
City e Liverpool si sfidano anche sugli spalti. Da Anfield all’Etihad, due modi opposti di vivere il calcio: tradizione contro modernità, cori contro luci LED, fede contro spettacolo
06:35 min

Manchester, Inghilterra. In un uggioso sabato pomeriggio di novembre, il City di Guardiola aspetta il Liverpool. L’incontro è previsto per l’ora del tè. In campo, sarà un testa a testa: i padroni di casa sono al 2° posto in classifica, ma ad incalzarli c’è proprio la squadra ospite.

A Liverpool il calcio è un affare di famiglia. I ragazzi crescono con il mito del Kop, la leggendaria tribuna di Anfield che prende il nome da un campo di battaglia; l’eco di You’ll Never Walk Alone fa vibrare i mattoni umidi e i vetri delle finestre affacciate sul Mersey. Qui il tifo è sentimento prima che spettacolo. Ogni bandiera cucita a mano, ogni striscione dedicato a una vittoria o a una tragedia, ogni voce che si unisce al coro lo dimostra. Ma la partita, questa volta, si gioca in casa del Manchester City.

Con gli ingombranti “cugini” dell’Old Trafford fuori dai giochi, i Citizens avevano tutti gli ingredienti per un lieto fine: i titoli, i grandi campioni, il calcio di Pep Guardiola, persino gli Oasis. Eppure, negli ultimi anni, lo stadio è diventato più un luogo dove ammirare giochi di luce e maxischermi, che sventolare bandiere azzurre e cantare. Oggi è difficile dare un’identità a chi occupa i seggiolini dell’Etihad. Nonostante la struttura moderna e telegenica (o forse proprio per quella?), i tempi di Maine Road, in cui si tifava senza tante aspettative, più sguaiati ma forse più felici, sono lontani anni luce.

Le coreografie: il rosso della memoria, l’azzurro del futuro

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Ad Anfield, l’atmosfera è emozionante. Bandiere, sciarpe, mosaici di cartoncini: gli spalti si muovono come un’onda rossa e bianca. Quando parte il coro, quel coro, lo stadio si ferma, il fiato si spezza, e persino i giocatori avversari rimangono per un attimo immobili. Per i tifosi del Liverpool, il canto è una questione di sangue, e You’ll Never Walk Alone è una promessa. Per questo da decenni accompagna la squadra nei momenti più alti e in quelli più tragici, come il ricordo delle 97 vittime di Hillsborough, senza spegnersi mai. E quando il vento ne porta l’eco dall’altra parte del fiume, persino chi non tifa Liverpool sente un brivido.

Il City, invece, ha un’idea di tifo decisamente più moderna e spettacolare. Le sue coreografie, tutte in azzurro e argento, si accendono grazie a luci, led, teli e slogan che ricordano più un evento pop che l’espressione di una sottocultura di curva. Ma poi la squadra stravince, e arriva il momento della Poznań: migliaia di tifosi che voltano le spalle al campo, si abbracciano e saltano insieme. Un gesto ironico, liberatorio e anche un po’ spaccone, simbolo della nuova anima del club e non molto apprezzato dai tifosi “vecchia scuola”, tra cui Noel Gallagher.

Questo contrasto si riflette anche nei cori: se il Liverpool canta la memoria, il City celebra la rinascita. Blue Moon accompagna ancora l’ingresso in campo dei Citizen con la sua malinconia, ricordo di anni passati tra sogni, cadute e rinascite, ma i nuovi cori dei gruppi organizzati, come il “1984 Group”, hanno portato sugli spalti la leggerezza di una squadra che non è più “l’altra di Manchester”, ma una protagonista del calcio globale.

Manchester City-Liverpool: tradizione contro modernità

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Per i Reds, Anfield è storia viva: le gradinate strette, i canti che precedono l’inno, la spinta del pubblico. L’Etihad, invece, è il manifesto della nuova Premier League: pulito, luminoso, tecnologico, popolato da tifosi locali ma soprattutto internazionali. Qui, oltre i novanta minuti, il tifo trasferisce online, nei podcast e nelle community animate dai tanti Citizen sparsi per il mondo.

In trasferta, i tifosi del Liverpool trasformano ogni città d’Europa nel cortile di casa loro, e anche una partita qualunque diventa una finale: arrivano in migliaia, cantano nei bar, negli aeroporti, nelle piazze. I supporter della squadra di casa, invece, sembrano più tranquilli, i cori più misurati. E se l’atmosfera allo stadio può sembrare più fredda, i numeri raccontano una passione in crescita, sostenuta da un network di fan club su scala internazionale, da Manchester a Jakarta, da New York a Riyadh.

Insomma: il Liverpool ha la forza della tradizione, il City la freschezza della novità. Forse, a vincere sul campo saranno ancora una volta i mancuniani, ma sugli spalti – quando migliaia di sciarpe rosse si alzano al cielo – non c’è led, sponsor o effetto speciale che tenga. Almeno, per il momento.