La battaglia vinta

Morata: “Paura di non svegliarmi più”. Il dramma silenzioso dello spagnolo

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Alvaro Morata svela la sua lotta contro la depressione, tra paura, dolore nascosto e la forza di rinascere oltre il calcio
Stefano Sorce
Stefano Sorce

Di fronte a milioni di occhi, Álvaro Morata è stato sempre solo un attaccante. Uno da giudicare per un gol sbagliato, per un rigore calciato male, per uno sguardo basso in campo. Ma oggi, grazie al documentario “Morata: No sabies quién soy”, ci ha mostrato che dietro a quei silenzi c’era molto di più.

Nel 2024, dopo un errore in Champions League contro il Borussia Dortmund, qualcosa dentro Morata si è rotto. "Avevo paura di tutto. Avevo paura di dormire e non svegliarmi più", racconta. Non era un semplice momento di difficoltà: era l’inizio di una battaglia invisibile che molti vivono, ma pochi riescono a raccontare. La depressione era entrata nella sua vita senza bussare.

Alvaro Morata, Milan

Morata: Quando il calcio non basta più

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La pressione, il fallimento percepito, le aspettative altrui. Tutto si è trasformato in un peso insostenibile. Morata ha confessato di aver persino pensato di fingere un infortunio per non partecipare all’Europeo, perché sentiva di non avere più la forza di affrontare il mondo. "Volevo solo piangere. Ho avuto pensieri autodistruttivi", confessa nel documentario. Eppure, quello che colpisce non è solo il dolore, ma la lucidità con cui oggi lo ricorda. La forza con cui ammette di essersi sentito spezzato, nonostante avesse tutto: una famiglia bellissima, una carriera invidiabile, una vita apparentemente perfetta.

A peggiorare la situazione, la separazione temporanea dalla moglie Alice Campello, madre dei suoi figli, nel pieno del suo smarrimento emotivo. "Avevo tutto, eppure stavo male. E non sapevo perché. Non sapevo cosa fare." Il turning point? Una conversazione con Andrés Iniesta, anche lui sopravvissuto al buio della depressione dopo la morte dell’amico Dani Jarque. Quelle parole, quel confronto tra anime ferite, hanno fatto scattare qualcosa in Morata. Gli hanno permesso di tornare a respirare, di accettare il dolore come parte della sua storia.

Rodrigo, Carvajal, i fisioterapisti, il dottor Celada. Morata ringrazia chi c’era nei momenti bui. Anche solo con un messaggio. Anche solo con una partita a ping-pong. "A volte, quando prendi un sonnifero e il tuo compagno sta giocando alla Play, è lì che qualcuno si accorge che non stai bene. Ci sono momenti in cui sorridi, e poi sei solo. Due vite nello stesso corpo." Nemmeno la Nations League è stata clemente. Il rigore sbagliato contro il Portogallo lo ha rispedito nell’incubo. Ma questa volta, Morata ha risposto con una consapevolezza nuova: "So come gestirla. Non resterò a letto. Ho sbagliato di nuovo, come capita a chiunque nella vita. E la vita va avanti."

alice campello - alvaro morata

Una storia per chi si sente perso

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Quella di Álvaro Moratanon è solo la storia di un calciatore. È la storia di un uomo che ha avuto il coraggio di mostrare le sue fragilità. Di abbattere il muro del silenzio. Di tendere la mano a chi, come lui, si è sentito perso. Le parole di Morata toccano, scuotono, aprono uno squarcio di verità su un mondo dove spesso si indossa una maschera. Dove la fragilità è vista come debolezza, e dove i campioni devono sempre "essere all’altezza", anche quando dentro si stanno spezzando.

Ma il vero coraggio è proprio questo: mettere a nudo il dolore per dare forza a chi non ha ancora trovato la voce per farlo. Oggi Morata non è solo un calciatore. È un padre che si è rialzato per i suoi figli. Un uomo che ha abbracciato le sue paure per trasformarle in consapevolezza. Un esempio per chiunque pensi di dover nascondere la propria sofferenza.

E allora sì, forse non tutti sapranno “chi è davvero Morata”. Ma oggi, chi ha visto quel documentario, e chi ha letto queste sue parole, non potrà dimenticare la sua lezione più importante: la vulnerabilità non è un difetto, è una forma potentissima di verità.E parlarne può essere il primo passo verso la libertà. Perché alla fine, come lui stesso dice, a volte il peggior nemico siamo noi stessi”. Ma riconoscerlo è già un atto di immenso coraggio.