Il tifo

Panathinaikos-Olympiakos: le coreografie più belle degli Eterni Nemici

Olympiakos Panathinaikos coreografie
Dai fuochi dell’inferno del Gate 7 all'onda verde del Gate 13: Olympiakos e Panathinaikos trasformano ogni derby in un’epopea visiva. Due tifoserie, un solo grido: il calcio è guerra, ma anche spettacolo
Silvia Cannas Simontacchi

C’è chi lo chiama “il derby dell’odio” e, in effetti, ridurre Panathinaikos-Olympiakos a una semplice rivalità sportiva è un errore da principianti. Atene si spacca in due a ogni fischio d’inizio: da una parte i biancoverdi del Panathinaikos, storicamente legati alla borghesia cittadina; dall’altra i biancorossi dell’Olympiakos, voce del Pireo operaio e popolare.

La Grecia è terra di contrasti antichi, feroci. E questo non è solo un derby: è una guerra di simboli, identità, classi sociali. Quando arriva il giorno del match, Atene smette di essere una città e diventa terra di nessuno: tensione alle stelle, petardi, scontri. L’ultimo incontro è stato sospeso dopo che un ordigno ha colpito Juankar, terzino del Panathinaikos, spedendolo dritto in ospedale.

Ma se in campo volano i tackle, è sugli spalti che si combatte la vera battaglia. Muri di fumo, cori assordanti e coreografie monumentali trasformano gli stadi in teatri epici. Dalle fiaccolate ai megastriscioni che inghiottono interi settori, Gate 13 e Gate 7 mettono in scena ogni anno uno spettacolo che supera la partita, scolpendosi nella memoria ben oltre il triplice fischio.

Panathinaikos-Olympiakos tra simbolismo, ironia e provocazioni

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Dietro ogni coreografia c’è sempre un messaggio chiaro e affilato. Le curve del Gate 13 e del Gate 7 parlano un linguaggio fatto di riferimenti politici, ironie taglienti e slogan che sanno colpire dove fa più male. Non mancano le allusioni esplicite: il rosso proletario dell’Olympiakos strizza spesso l’occhio all’iconografia comunista, mentre i tifosi del Panathinaikos giocano la carta dell’élite culturale, tra aristocrazia urbana e provocazioni “di classe”.

Quando entra in campo la politica tutto è concesso, purché faccia rumore: dalle caricature dei leader di partito alle allusioni alla crisi economica greca, fino agli attacchi a personaggi pubblici vicini all'una o all’altra sponda. E il rumore comincia settimane prima, con titoli infuocati sui giornali, previsioni da bar e nervi a fior di pelle. Il Gate 13, nato nel 1966, è l’anima ultras del Panathinaikos: una curva storicamente legata all’estrema destra, capace di influenzare concretamente le scelte societarie. Gemellato con gli ultras del Rapid Vienna, è celebre per l’uso pirotecnico smodato durante le partite e per il culto di un Panathinaikos “colto”, aristocratico, quasi superiore, almeno idealmente, alla plebe del Pireo.

Dall’altra parte, l’Olympiakos risponde con la voce della strada. Se il Panathinaikos è la squadra dell’Acropoli e della borghesia ateniese, l’Olympiakos è quella del Pireo, dei cantieri, delle mani sporche. Legata alla sinistra radicale e fiera del suo rifiuto della retorica elitaria dei rivali, la tifoseria dell’Olympiakos è parte del  Triangolo Ortodosso, un gemellaggio internazionale che la unisce agli ultras della Stella Rossa di Belgrado e della Dinamo Mosca. Il Gate 7, cuore e polmone del tifo rosso, prende il nome dalla tragedia del 1981, quando 21 tifosi persero la vita nel caos post-partita contro l’AEK. Da allora, quel numero è diventato un'icona: memoria e mito, bandiera e ferita aperta.

Green Blood: le coreografie del Panathinaikos

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Tra le manifestazioni più spettacolari dei supporter biancoverdi spicca l’onda verde che travolse lo Stadio Olimpico il 25 febbraio 2010, durante il ritorno dei sedicesimi di Europa League contro la Roma. Oltre 7.000 tifosi del Panathinaikos trasformarono il settore ospiti in un mare compatto di bandiere, cori e fumogeni che lasciò senza parole persino i tifosi giallorossi.

Nello stesso anno, il Gate 13 mise in scena una delle sue coreografie più provocatorie: un’enorme raffigurazione del Partenone in fiamme, accompagnata dallo slogan “La nostra fede è più antica della vostra storia”. Un messaggio diretto all’Olympiakos, pieno di sarcasmo e fierezza, che richiamava con forza le radici storiche del club fondato nel 1908 da Giorgios Kalafatis, calciatore e olimpionico, ben 17 anni prima della nascita della squadra del Pireo.

Non meno tagliente la coreografia esibita in un derby contro l’AEK Atene, dove un gigantesco Pinocchio giallonero, un chiaro riferimento ai colori dell’AEK, troneggiava tra torce e fumogeni, infiammando letteralmente la curva. Un esempio perfetto di come ironia e immaginazione siano da sempre marchi di fabbrica del tifo organizzato biancoverde.

“Welcome to Hell”: le coreografie dell’Olympiakos

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Poche tifoserie possono eguagliare quella dell’Olympiakos: le sue coreografie non sono semplici manifestazioni di tifo, ma esplosioni visive di fede incrollabile, capaci di travolgere tutto. Emblematica quella del 25 febbraio 2014, in un derby infuocato contro il Panathinaikos. Un’onda rossa e bianca si riversò sugli spalti, trasformando la curva in un fiume di lava incandescente che lasciò gli avversari senza parole. Indimenticabile anche la scenografia con Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli inferi, issato su un gigantesco striscione con la scritta “Welcome to Hell”. Era sempre il 2014 e il messaggio del Karaiskakis era fin troppo chiaro: qui dentro c’è l’inferno e voi siete ospiti indesiderati.

Tra le coreografie entrate nella leggenda c’è anche la celebrazione dell’83° anniversario del club nel 2008. Un tripudio di simboli, date e orgoglio, in un mosaico che raccontava quasi un secolo di storia, battaglie e gloria. Ma le più toccanti restano quelle dedicate alle 21 vittime della tragedia del Gate 7. In quelle occasioni lo stadio si ferma, si fa sacro: bandiere che vibrano come fiammelle, candele accese, silenzi che urlano memoria. Il passato non è mai davvero passato: vive nei cori, nelle coreografie, nei cuori.