Dopo tre anni di silenzio, Roman Abramovich è tornato a parlare pubblicamente della sua forzata uscita di scena dal Chelsea, il club che aveva acquistato nel 2003 e trasformato in una delle potenze del calcio europeo. L'intervista è contenuta nel libro "Sanctioned: The Inside Story of the Sale of Chelsea FC", che racconta l'accordo tra l'oligarca russo e il consorzio americano Todd Boehly-Clearlake Capital nel maggio 2022.
LE PAROLE
Roman Abramovich rompe il silenzio: “Non tornerò nel calcio ma voglio dire addio al Chelsea”


Roman Abramovich, il suo desiderio è un ultimo saluto al "suo" Chelsea
—Abramovic ha rivelato il suo desiderio di tornare, un giorno, a Stamford Bridge solo per salutare degnamente la squadra con la quale è rimasto legato. Al tempo stesso ha categoricamente escluso qualsiasi ritorno attivo nel mondo del calcio. "Non sono interessato a nessun ruolo in una squadra di calcio, figuriamoci in una professionistica", ha affermato.

Abramovich ha aggiunto che, pur non escludendo di contribuire a iniziative giovanili o accademie che offrano opportunità a chi proviene da contesti svantaggiati, il capitolo del calcio professionistico per lui è definitivamente chiuso.
La cessione del Chelsea obbligata dalla guerra Russia-Ucraina
—Il magnate russo fu costretto a cedere il Chelsea nel 2022, dopo che il governo britannico lo aveva sanzionato in seguito all'invasione russa dell'Ucraina. Il ricavato della vendita del club, pari a circa 2,5 miliardi di sterline, è attualmente bloccato in un conto bancario britannico, destinato ad aiuti umanitari. Tuttavia, permangono tensioni tra Abramovich e le autorità del Regno Unito, che vogliono essere sicuri che i fondi vengano destinati esclusivamente alle vittime ucraine. L'ex proprietario, invece, sostiene che anche i civili russi colpiti dalla guerra meritino aiuto.
Abramovich ha chiuso con un detto russo che riassume bene il suo stato d’animo: "I cani abbaiano, ma la carovana si muove". Con queste parole, sottolinea come, nonostante le critiche e i sospetti, il suo intento fosse semplicemente quello di fare del bene. Un addio malinconico, ma dignitoso, da parte di uno degli uomini che ha cambiato per sempre la storia del calcio inglese.
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