derbyderbyderby calcio estero Tra gli orrori della guerra la nazionale della Palestina prova a resistere

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Tra gli orrori della guerra la nazionale della Palestina prova a resistere

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Il tecnico della squadra ha raccontato della situazione e dei progetti futuri.
Federico Iezzi
Federico Iezzi Collaboratore 

In mezzo al terrore, alla morte, alla guerra, la nazionale della Palestinaprova anche lei a resistere, a vivere. L'obiettivo della compagine, mancata la qualificazione al Mondiale, è quello di partecipare alla Coppa Araba del 2025 e, più in generale, di farsi vedere, di mostrare la propria esistenza.

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Dalla Palestina al Cile

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Per sfuggire alla guerra e ai suoi orrori, come alle devastazioni fisiche, la nazionale palestinese si è trasferita in Cile. Non è una scelta casuale: nel paese sudamericano, infatti, c'è la più grande comunità della diaspora palestinese. Nel lontano stato, infatti, vivono più di 500mila palestinesi che possono fornire anche un bacino di nuovi talenti e calciatori da inserire nella compagine guidata da Abu Jazar. Il piano di Jazar è chiaro: sfruttare il nuovo quartier generale per permettere al movimento di rinfoltire le sue fila e lavorare in tranquillità.

Lo ha spiegato lui stesso a EFE: "Abbiamo un gran numero di giovani fuori dalla Palestina. Vogliamo creare un database palestinesi in Cile, Libano ed Europa. Ovunque ci siano giocatori, vogliamo raggiungerli". Le idee del commissario tecnico, inoltre, comprendono anche la creazione di un nuovo centro di allenamento per la squadra, sul territorio cileno, con l'aiuto di qualche club locale.

E il maggior indiziato è il Palestino, club con storici e forti legami con la causa e la terra palestinese. L'obiettivo finale? Il Mondiale del 2030: "Alcuni potrebbero pensare che sia impossibile per la Palestina raggiungere la Coppa del Mondo, ma dopo l'esperienza che abbiamo avuto, la fiducia è alta" ha raccontato il ct a EFE.

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Tra mille paure

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Il tecnico ha raccontato alla Gazzetta dello Sport le difficoltà e le paure sue e dei calciatori, fortunati ad essere distanti dalle bombe, ma mai davvero distanti con la mente: "La cosa che temiamo di più è il telefono. Una volta rientrati negli spogliatoi facciamo fatica a controllare le notifiche. Quell’avviso, ormai quotidianità per milioni di persone, è diventato una fonte d’ansia: potrebbe dirci che è morto un amico o un familiare”. Jazar ha raccontato di aver perso il suo vice, ucciso dall'IDF, come anche Suleman Obeid, noto come il Pelè palestinese, morto mentre cercava cibo per la sua famiglia.

Ma ha anche spiegato come loro siano una fonte di pausa, una piccola distrazione in mezzo all'orrore per i loro compatrioti: "Per pochi istanti abbiamo portato gioia nel cuore della gente. L’abbiamo 'distratta' dall’orrore", ha detto facendo riferimento alle partite per la qualificazione al Mondiale.

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Dove anche lo sport non esiste più

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La guerra distrugge tutto, annulla qualsiasi cosa. Anche lo sport e il calcio. Quella del calcio nella striscia di Gaza è una situazione terrificante, ancora una volta raccontata dalle parole dell'allenatore della nazionale: "Più di 280 infrastrutture sportive sono state danneggiate o rase al suolo. Alcuni impianti sono stati usati come centri di detenzione per interrogare i prigionieri. Il campionato è sospeso da tre anni e non ci sono competizioni giovanili”.