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Serie A

Calhanoglu, l’uomo senza bandiera: il futuro incerto del regista dell’Inter

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Dallo scudetto della seconda stella al crollo nella stagione 2024/25: il centrocampista turco vive un anno tra infortuni, voci di mercato e dubbi sul futuro. L’Inter chiede chiarezza, il Galatasaray osserva. Il finale è ancora tutto da scrivere
Silvia Cannas Simontacchi
Silvia Cannas Simontacchi

Il futuro di Hakan Calhanoglu è il grande enigma del mercato nerazzurro da metà giugno, da quando in Turchia è scoppiato il gossip sul suo possibile trasferimento al Galatasaray. Giornalisti, parenti, conoscenti, parrucchieri: tutti ne parlano, tutti lo danno per fatto. Poi arriva il rientro anticipato dal Mondiale per Club, causa infortunio al polpaccio. Un’uscita di scena che getta benzina sul fuoco: Lautaro sbotta, Marotta fa nomi e cognomi, e il turco — com’è nel suo stile — risponde di petto sui social. Tutto sembra condurre a un’unica conclusione: l’addio. Scontato, inevitabile. O forse no?

Sempre in bilico tra rancore e redenzione, tra fischi e standing ovation, Calha ha riscritto più volte la storia della sua carriera: da enfant prodige a traditore, da promessa incostante a miglior regista della Serie A. Non è tanto per il numero di maglie cambiate — c’è chi ha fatto di peggio — quanto per come le cambia: ogni volta è una fuga, un taglio netto, un addio definitivo. Calhanoglu non chiude mai una porta. La sbatte. I suoi trasferimenti sono drama puro: colpi di scena, monologhi risentiti e pubblico spaccato tra fischi e applausi.

Calhanoglu: le radici tedesche, l’identità turca

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Nato l’8 febbraio 1994 sotto il segno dell’Acquario, in Germania ma con radici turche profondissime, Hakan Calhanoglu incarna fin da subito un’identità doppia, ambigua, in bilico. Cresce nelle giovanili del Karlsruhe, ma è il richiamo delle origini è forte: ancora adolescente, firma — o meglio, fa firmare al padre — un pre-contratto con il Trabzonspor. Non un semplice gesto d’appartenenza, ma un vincolo legale. Un gesto di cui, anni dopo, si pentirà. Ma andiamo con ordine.

Amburgo, inizi brillanti e promesse infrante

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Agosto 2013, Bundesliga. Calhanoglu debutta con l’Amburgo: entra al 79° contro l’Eintracht Francoforte e in pochi minuti segna non uno, ma due gol. Il primo con un tiro a giro morbido in area, il secondo su punizione, potente e millimetrico. È l’inizio del Calhanoglu-show. Giovane, talentuoso, ha un gran piede e segna persino da centrocampo. E rinnova il contratto con parole da innamorato: “Voglio diventare una colonna di questa squadra.” Ma non andrà così.

Come in una situationship che implode proprio sul più bello, Calha sparisce poco dopo l’apice. Letteralmente. Il 18 giugno si presenta con un certificato medico firmato da uno psicologo: quattro settimane di esonero dagli allenamenti per stress. Le cause sarebbero le contestazioni feroci dei tifosi, degli atti vandalici contro la sua auto, e la rottura col direttore sportivo Oliver Kreuzer, che lo accusa pubblicamente di tradimento. Calhanoglu cambia numero di telefono, salta il ritiro, si eclissa. Ghosting da manuale.

Un mese dopo è già in campo con la maglia del Bayer Leverkusen. L’Amburgo grida allo scandalo, lui risponde alla sua maniera: diventa subito titolare. È il primo strappo. E anche il primo di una serie di segnali: Hakan Calhanoglu non si guarda mai indietro.

Il caso Trabzonspor e la squalifica FIFA

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Il 4 luglio 2014 il Bayer Leverkusen lo acquista per 14,5 milioni di euro e gli fa firmare un contratto quinquennale. Calhanoglu è giovane, in ascesa, e nell’ottobre dello stesso anno viene inserito tra i migliori talenti emergenti del calcio europeo. La sua prima stagione con la maglia del Bayer è strepitosa: 33 presenze e 8 gol, a cui si aggiungono 10 partite e 3 reti in Champions League, più 4 presenze e 2 gol in Coppa di Germania. E anche nel campionato 2015-2016 il turco c’è: 31 presenze e 3 gol in campionato, 12 presenze e 4 reti tra Champions ed Europa League, 3 presenze e un gol in coppa nazionale. Tutto sembra andare per il verso giusto.

Fino a quando, nel 2017, arriva il momento di regolare un certo conto in sospeso: quella vecchia firma di papà con il Trabzonspor. Il club fa causa, la FIFA gli dà ragione, e il Tribunale Arbitrale dello Sport squalifica Calhanoglu per quattro mesi. Nessun infortunio, nessun doping: solo un contratto non rispettato, un impegno mai onorato. E una carriera che si blocca proprio sul più bello. Ma anche questa volta, Calha ha un piano B.

Milano, sponda rossonera

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Nel luglio 2017 Calhanoglu approda al Milan per 22 milioni di euro. Esordisce in Serie A il 20 agosto, nella vittoria per 3-0 sul campo del Crotone, e trova il primo gol con la maglia rossonera il 14 settembre, in Europa League. È l’inizio di un’avventura lunga quattro stagioni, segnata da alti e bassi, aspettative spesso disattese e sprazzi di talento purissimo.

Dopo un avvio complicato, trova continuità con l’arrivo in panchina di Gennaro Gattuso, che gli affida la maglia da titolare. Ma è sotto la guida di Stefano Pioli che fa il vero upgrade: non più solo un trequartista tecnico e intermittente, Calhanoglu si trasforma in un regista offensivo, baricentro del 4-2-3-1 rossonero. Nella seconda parte della stagione 2019-20 diventa imprescindibile: chiude il campionato con 9 reti e trascina il Milan verso un insperato sesto posto.

L’anno successivo parte col botto: 4 gol nei turni preliminari di Europa League, rendimento alto e ruolo centrale nello scacchiere di Pioli. Anche se l’incostanza rimane, le cifre parlano chiaro: 4 gol, 10 assist e un dato che lo consacra — è il giocatore che ha creato più occasioni da gol nei top 5 campionati europei (98). Il Milan torna in Champions League dopo sette anni, e il merito è anche suo.

Eppure, il legame con la tifoseria è fragile e in spogliatoio non si è mai completamente ambientato. Quando arriva il momento del rinnovo, Calhanoglu sceglie un’altra strada, anzi, un ponte. Quello che porta all’altra sponda del Naviglio“Tutti pensano che sia andato via per una questione economica, ma i soldi non sono sempre tutto”, dirà tempo dopo. “La cosa più importante per me è sentirmi importante”. Così, quando l’Inter bussa, lui non ci pensa troppo: così apre la porta.

Milano, sponda nerazzurra: il tradimento perfetto

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È il 2021: Calhanoglu lascia il Milan a parametro zero e firma un triennale con l’Inter. Il debutto è roboante: il 21 agosto, nella vittoria per 4-0 contro il Genoa, segna subito e serve un assist a Škriniar. Il 7 novembre arriva anche il primo gol nel derby – un rigore glaciale contro i suoi ex – che vale l’1-1 finale. Il 12 gennaio 2022 solleva il suo primo trofeo in nerazzurro: la Supercoppa italiana, conquistata battendo la Juventus ai supplementari.

È un passaggio di campo, certo. Ma soprattutto di narrazione. Da riserva intermittente diventa titolare inamovibile, da trequartista geometrico a regista totale. A San Siro, questa volta sponda Inter, è il giocatore che tocca più palloni, sbaglia meno passaggi, detta i tempi e accende le verticalizzazioni. Con Simone Inzaghi si trasforma nel motore del sistema: stratega, leader silenzioso, uomo chiave. Mentre la Curva Sud gli dedica cori e striscioni ispirati al presunto tradimento della moglie, in campo parla il pallone. E i numeri lo incoronano: miglior regista del campionato, rigorista infallibile, baricentro tecnico di una squadra che domina la Serie A.

Poi arriva lo scudetto 2024, quello della seconda stella. E con esso, la rivincita: “Tutto quello che è stato fatto contro di me e la mia famiglia dai tifosi milanisti non posso dimenticarlo”, dirà a fine stagione. Il ventesimo tricolore dell’Inter arriva nel modo più simbolico possibile: vinto nel derby, sigillo perfetto di un percorso di riscatto personale e collettivo. Chi lo fischiava, ora lo rimpiange segretamente. Chi lo accoglieva con freddezza, oggi lo osanna. Non c’è giornata in cui la Curva Nord non canti per lui.

Calhanoglu: un calciatore senza bandiera

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Poi arriva la stagione 2024/25, e la luna di miele finisce. Il clima si fa teso, tesissimo. L’Inter arriva fino in fondo a quattro competizioni, ma non ne vince nemmeno una. La prima ferita è il campionato, sfumato all’ultima giornata contro il Napoli di Antonio Conte. Ma quella che fa più male è la Champions League, solo a un passo dal sogno: un 5-0 senza appello contro il PSG in finale, che lascia cicatrici profonde e difficili da rimarginare.

A livello individuale, Calhanoglu vive una stagione complicata. Gli infortuni lo limitano, il rendimento cala, le aspettative — dei tifosi e forse anche dei compagni — restano inappagate. E intanto il suo futuro si offusca. Da Viale della Liberazione fanno sapere che l’enigma va chiarito in tempi brevi, ma dalla Turchia continuano a filtrare rumors: il Galatasaray potrebbe rifarsi sotto ad agosto. Il prossimo 26 luglio il re dei calci piazzati è atteso ad Appiano Gentile con il resto della squadra, ma il suo futuro è ancora tutto da scrivere. Nel frattempo, le voci di mercato lo distraggono, la società si irrita, l’ambiente scricchiola. Come da copione.

La carriera di Calhanoglu non è mai stata una linea retta, ma un percorso di ripartenze. Spesso ha fatto scelte impopolari, ma quasi sempre le ha sapute giustificare sul campo. Potrà non piacere a tutti, ma è il calciatore moderno per eccellenza: sradicato, professionale, pragmatico fino al cinismo. Per qualcuno, un mercenario. Per altri, soltanto un fuoriclasse. Non resta che attendere il prossimo colpo di scena.