Milan, ESCLUSIVA Diddi: “Il futuro passa da Maldini, Sartori, Conte o Allegri”
MILAN, ITALY - APRIL 20: Rafael Leao and Luka Jovic of AC Milan embrace during the Serie A match between AC Milan and Atalanta at Stadio Giuseppe Meazza on April 20, 2025 in Milan, Italy. (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)
Una panoramica generale sulla stagione e sulle prospettive per il prossimo anno
Stefano Sorce
In un momento di grande fermento per il calcio italiano, esattamente come quello che sta accadendo al Milan, tra riflessioni sul futuro delle panchine, l’evoluzione dei ruoli tecnici e le prospettive tattiche delle squadre di vertice, abbiamo avuto il piacere di confrontarci con Luca Diddi. Match Analyst preparato e appassionato, con una visione lucida e concreta del calcio moderno.
Con alle spalle un percorso formativo importante e abilitazioni federali da allenatore e MatchAnalyst, Luca Diddi ci ha concesso un’intervista ricca di spunti, affrontando temi centrali come la crescita (o la "stagnazione") di giocatori come Rafael Leão, il futuro del Milan, il valore degli allenatori vincenti e l’importanza sempre maggiore della tattica individuale. Attraverso il suo sguardo tecnico, ma sempre appassionato, emergono riflessioni profonde su come il calcio stia tornando ad esaltare il duello, l’uno contro uno, il dettaglio situazionale. Un dialogo che non è solo un’analisi, ma un vero e proprio viaggio nel calcio attuale, visto da chi lo studia, lo allena e lo vive davvero, ogni giorno.
Diddi ha ricoperto ruoli significativi come allenatore e Match Analyst, con esperienze in club come la Pistoiese, il Carpi e l'Hellas Verona. Nel 2022, ha ricoperto il ruolo di match analyst dell'Hellas Verona, contribuendo all'analisi tattica della squadra durante la stagione 2022/23.
Milan: i segreti del nuovo modulo
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Ciao Luca, partiamo da Milan-Atalanta, gara giocata domenica 20 aprile e terminata con la vittoria della squadra di Gasperini grazie al gol di Ederson. Il Milan era partito bene col 3-4-3 già visto a Udine, mostrando equilibrio e compattezza. Dopo il gol di Ederson però, la gestione dei cambi da parte di Conceição ha sollevato dubbi. In una partita da recuperare, non sarebbe stato più logico inserire subito due punte per aumentare la presenza offensiva?
"Il Milan visto a Udine è sembrato un Milan equilibrato, ben messo in campo. Quel 3-4-3 ha sorpreso anche l’Udinese, soprattutto perché in fase difensiva si trasformava in un 5-3-2 compatto ed efficace. Era un Milan solido, che sapeva difendere e ripartire con ordine. Contro l’Atalanta, però, è stata tutta un’altra storia. La squadra di Gasperini è abituata a quel tipo di gioco, a quel modulo, e soprattutto è a suo agio nei duelli individuali. Quando vai uno contro uno con l’Atalanta, sei nel suo habitat naturale: la squadra è costruita proprio per quel tipo di partita. Ne è uscita quindi una gara fatta di duelli, uno contro uno ovunque".
"Dal punto di vista delle scelte iniziali, personalmente avrei preferito vedere Abraham al posto di Jovic. Con l’Atalanta serviva un attaccante più fisico, in grado di reggere l’urto nei duelli con Hien. Poi, ovviamente, c’era anche la questione del turnover in vista della Coppa Italia contro l’Inter, ma nonostante tutto quella contro l’Atalanta restava una partita fondamentale, forse l’ultimo treno per l’Europa. I cambi, a mio avviso, sono stati sbagliati. Dopo il gol di Ederson c’era la possibilità di cambiare modulo, magari passando a due punte centrali: Abraham e Gimenez insieme. Non avrei inserito Joao Felix, che per me è un equivoco tattico. È un giocatore fumoso, che può rendere solo in una squadra che palleggia, che ha fiducia e che comanda il gioco. In una situazione come quella attuale del Milan, dove serve concretezza e determinazione, non è il profilo adatto".
"Avrei preferito vedere Abraham e Gimenez insieme davanti, con magari un Pulisic alle loro spalle: anche se non ha brillato, ha qualità e può sempre inventarsi qualcosa. Non avrei inserito Sottil in quel ruolo, e soprattutto non avrei usato Gimenez come trequartista o addirittura mezzala, come si è visto in alcuni frangenti. Dopo il gol dell’Atalanta, tutte le scelte di Conceicao sono sembrate fuori contesto, tatticamente sbagliate".
Hai parlato di João Félix. Il portoghese, arrivato in prestito dal Chelsea, ha deluso dopo un buon esordio. Poche prestazioni convincenti, possibile ritorno a Londra e poco spazio. Dal punto di vista tecnico e tattico, dove ha faticato? E considerando i rapporti con la scuderia Mendes, pensi sia stato un acquisto più dettato da dinamiche di mercato che da reali esigenze tecniche?
"Ti dico la verità: inizialmente pensavo che Joao Felix potesse davvero dare qualcosa in più a questo Milan. Pensavo potesse portare qualità, fantasia, imprevedibilità. E invece ha portato soltanto confusione. È stato, a tutti gli effetti, un equivoco tattico. Parliamo di un giocatore difficile da collocare: non è un vero esterno perché non copre, non è un trequartista puro perché tende a muoversi troppo per il campo, e quando lo piazzi da trequartista oscuri uno dei pochi punti fermi positivi di questo Milan, ovvero Reijnders. L'olandese trequartista era una soluzione trovata, funzionava, e l’innesto di Joao Felix ha finito per creare sovrapposizioni e squilibri, togliendo certezze più che aggiungerne".
"Secondo me l'acquisto non è stato azzeccato. Ha avuto le sue opportunità, ha giocato tanto, ma non ha inciso. È un giocatore che in certe dinamiche tecniche e psicologiche si è perso e riperso, e il Milan in quel ruolo era già coperto. A quel punto, inserirlo sembra quasi più una scelta figlia di accordi esterni, magari di procura, magari di strategie di mercato, che una vera esigenza tecnica. Insomma, pensavo potesse aiutare, invece ha solo complicato le cose. È stato inserito in un reparto dove non serviva e, peggio ancora, ha messo in discussione un equilibrio che il Milan stava finalmente trovando".
Tornando per un attimo al modulo, il Milan sembra più compatto con questo sistema. Secondo te è il modulo giusto per questa rosa? Valorizza davvero i giocatori? E per il derby contro l’Inter in Coppa Italia, può essere la chiave per arrivare in finale? Che pronostico ti senti di fare per la sfida?
"Secondo me il 3-4-3 è il modulo ideale per il Milan. È la soluzione che valorizza meglio le caratteristiche dei giocatori attualmente in rosa. Difensori come Pavlovic e Tomori si adattano perfettamente alla difesa a tre: sono aggressivi, rapidi, e sanno coprire bene l’ampiezza. Allo stesso modo, esterni come Theo Hernandez e Jimenez rendono molto di più nel ruolo di quinti a tutta fascia piuttosto che da terzini in una linea a quattro. Theo, in particolare, è un giocatore che soffre quando deve fare il terzino classico. In un 3-4-3, invece, può esprimere tutto il suo potenziale offensivo partendo più alto, con meno responsabilità difensive, e diventa devastante in campo aperto".
"Per questo motivo credo che il Milan debba dare continuità a questo sistema, anche in ottica futura. L’allenatore che arriverà dovrà partire da questo presupposto: costruire attorno ai giocatori che già ci sono, valorizzando i loro punti di forza e non forzandoli in moduli che li penalizzano. Il 3-4-3, o comunque un sistema con la difesa a tre e i quinti di centrocampo, deve essere la base. Che poi si giochi con tre davanti in linea, un trequartista dietro due punte o altre varianti, cambia poco: il principio resta quello. È da qui che il Milan deve ripartire".
Milan: i postumi del calciomercato
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Vorrei parlare un attimo con te di Youssouf Fofana. Il francese dal punto di vista atletico e tattico è un ottimo elemento, ma tecnicamente lascia a desiderare nei passaggi e nei lanci. A circa 25 milioni, non pensi si potesse puntare su un profilo simile ma con piedi più educati, per migliorare anche la qualità del palleggio?
"Fofana non è affatto un cattivo giocatore, anzi. Io lo considero un ottimo elemento, con caratteristiche importanti e un potenziale che il Milan deve assolutamente valorizzare. A mio avviso è uno degli acquisti più azzeccati di questa stagione, anche se spesso viene messo in discussione quando le cose non girano. È normale, nei momenti di difficoltà si tende sempre a puntare il dito sul centrocampista più fisico, quello che sembra meno “pulito” tecnicamente. Ma Fofana non è il problema, anzi: può e deve essere una delle basi su cui ricostruire il Milan del prossimo anno".
"L’ideale, secondo me, sarebbe affiancargli un centrocampista con qualità complementari. Un profilo alla Tonali, per intenderci: uno capace di dare ordine, tempi, ma anche intensità. In un 3-4-2-1, per esempio, potresti avere Fofana come perno fisico e dinamico, con Reijnders più avanzato in uno dei due slot dietro la punta, e un altro mediano accanto a Fofana capace di gestire i ritmi. Il francese mi ricorda molto Kessié: un giocatore di gamba, di strappi, che quando sta bene ti cambia l’equilibrio della squadra. Non va disperso, ma messo nelle condizioni ideali per incidere. E per questo credo che su di lui il Milan debba ripartire".
Quanto pesa, oggi, sul progetto Milan la mancanza di coerenza tra mercato e identità tattica? Musah e Emerson Royal, pagati complessivamente circa 35 milioni di euro, sono davvero errori di mercato o vittime di scelte sbagliate a livello tecnico?"
"A livello di mercato, il più grande errore del Milan, a mio avviso, sono stati i 20 milioni investiti su Musah. I soldi spesi per lui e per Emerson Royal sono cifre completamente fuori mercato. Musah, pur avendo qualità, non è adatto al ruolo per cui è stato spesso impiegato. Sono stato tra i primi a sottolinearlo: Musah non può giocare in un centrocampo a due. Non è un centrale. È una buona mezzala, questo sì. Addirittura potrebbe essere utile come trequartista in un 4-2-3-1, grazie alla sua capacità di inserimento. Ma ha limiti evidenti nella gestione del pallone sotto pressione, tende a perdere palla in zone pericolose e fatica ad offrire equilibrio in fase difensiva".
"Secondo me, la sua collocazione più funzionale potrebbe essere sull’esterno. È un giocatore giovane, con gamba, esplosività e fisicità: può essere lavorato come alternativa esterna, magari in un 3-4-3 o in un 4-3-3, dove non ha responsabilità centrali. Ma l’averlo insistito nel ruolo di mediano ha solo messo in luce le sue difficoltà. Discorso simile per Emerson Royal: anche qui, 15 milioni sono troppi. Un buon cambio, una riserva utile per una rosa profonda, ma non può essere un titolare nel Milan. La richiesta è eccessiva e il suo impatto non è stato proporzionale all’investimento".
Il futuro del Milan
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Parliamo anche di Santiago Giménez: molti addetti ai lavori lo etichettano già come flop. Ma a mio avviso c'è da considerare che è arrivato a gennaio, da un altro campionato, in un contesto di squadra e società altamente tossico. Non credi che serva tempo e un ambiente più sereno per valutarlo davvero?
"Santi Giménez, per me, è uno dei migliori attaccanti in circolazione a livello europeo. In Italia, purtroppo, spesso manca la pazienza e si tende a giudicare troppo in fretta. Ma parliamo di un giocatore che è arrivato al Milan con un bagaglio importante: 65 gol in poco più di 100 presenze con il Feyenoord e una media di quasi un gol a partita in Champions League, 4 o 5 reti in altrettante partite. Va ricordato che Giménez è sbarcato a Milano reduce da un infortunio, e non ha avuto tempo e continuità per ambientarsi al meglio. Eppure, al suo arrivo, aveva segnato subito: gol in Champions, in campionato, assist in Coppa Italia. Ma soprattutto, gli è stato chiesto un tipo di lavoro diverso rispetto a quello che faceva in Olanda. È un attaccante abituato a giocare da solo, ad attaccare la profondità, mentre al Milan si è trovato spesso a dover interpretare il ruolo in modo più "sacrificato", più spalle alla porta, meno adatto alle sue caratteristiche".
"Il rapporto con l’allenatore, a mio avviso, non è stato ideale. Ma questo non giustifica la bocciatura frettolosa di un attaccante che ha numeri da top player. La sensazione è la stessa di quando si criticava Reijnders all’inizio, salvo poi accorgersi di quanto fosse centrale nel progetto Milan. Ecco, io con Giménez vedo lo stesso scenario. Non può diventare un flop dopo 7-8 partite. Un giocatore con quel pedigree e quella qualità va aspettato, valorizzato, e costruito attorno un contesto tattico che lo esalti. Per me, Santi Giménez resta un punto fermo su cui il Milan deve assolutamente puntare il prossimo anno".
Parlando invece di Rafael Leão possiamo dire che il portoghese ha trovato più continuità ma spesso resta poco incisivo. Qual è il tuo giudizio attuale? Va ancora considerato un punto fermo o potrebbe essere ceduto per finanziare il mercato? E in cosa può ancora migliorare con la guida giusta?
"Secondo me Leão è questo qui. Può fare partite super, ma alterna sempre a dei periodi così. Ormai lo conosciamo: è un ottimo giocatore, ma non è un campione, non è un fenomeno. È forte, sì, ma si è un po’ fermato nello step di crescita. È rimasto un ottimo giocatore, perché comunque sappiamo che è molto legato solo alla fase offensiva. Non può fare l’esterno puro: deve giocare quasi da seconda punta. Nel Milan dello scudetto Leão veniva fuori perché c’erano Kessié e Tonali, che coprivano le sue mancanze in fase di non possesso. Gli permettevano di pensare solo a offendere".
"Tutto dipenderà da come cambia il Milan l’anno prossimo: allenatore, modulo, stimoli, tutto. Di sicuro Leão è un giocatore importante, ha fisicità, ha velocità. Ma, come dicevo, gli manca ancora quello step per diventare un fenomeno. Se trova un allenatore che riesce a fargli fare quello scatto mentale e tattico, allora sì che può diventare uno dei migliori in Europa. Serve lo stimolo giusto, qualcuno che lo sproni davvero. Perché il potenziale ce l’ha. Ma ora tocca a lui".
Affrontando il tema riguardante il futuro: chi dovrebbe scegliere il Milan come nuovo direttore sportivo e allenatore per ripartire davvero? Hai in mente dei profili ideali per restituire identità e competitività alla squadra?
"Secondo me il Milan, a livello dirigenziale, dovrebbe ripartire da un direttore esperto e navigato. Ci sono vari nomi in giro, si leggono e si sentono tante voci. Igli Tare potrebbe essere un buon profilo. Ad esempio, si parla di Giovanni Sartori, che a mio avviso potrebbe essere un profilo ideale: conosce il calcio, sa lavorare, ha esperienza. Per quanto riguarda l’allenatore, secondo me il Milan non dovrebbe uscire da due nomi: Massimiliano Allegri e Antonio Conte. Il Milan ha bisogno di un allenatore vincente subito, di uno concreto. Non ha bisogno di un allenatore “di progetto” alla De Zerbi, per intenderci. Il popolo rossonero vuole vincere, vuole vedere risultati concreti. Non ha bisogno di un gioco che si sviluppa nel tempo, ma di qualcosa di immediato: anche un 1-0, ma che porti tre punti. Servono risultati, servono certezze. E per questo, secondo me, i due più idonei sono proprio Allegri e Conte".
Proprietà RedBird: Con questa proprietà, secondo te, il Milan può davvero tornare ai massimi livelli? Le scelte finora sono molto discutibili. Tu che idea ti sei fatto?
"Secondo me, con questa proprietà il Milan farà fatica a tornare ai massimi livelli. Quando il business supera la passione, diventa un problema. Il Milan, a mio avviso, avrebbe bisogno di una proprietà che ami davvero il calcio, che capisca cosa significa questa maglia e che tenga conto anche del volere dei tifosi. Serve una società che si affidi a un direttore serio, competente, uno che conosce il calcio a 360 gradi. In questo momento, vedo all’interno dell’organigramma del Milan tanti nomi importanti, sì, ma che non sono adatti a ricoprire certe funzioni specifiche nel mondo del calcio. Sono grandi manager, ma non vivono il calcio con la giusta profondità. C’è confusione, e questo non è positivo. Io sono per il ritorno di Paolo Maldini. Perché Maldini conosce il Milan, è una figura di calcio vera. E quando hai una persona di calcio all’interno della società, i risultati arrivano: lo scudetto ne è la dimostrazione. Secondo me, questa è una cosa fondamentale".
Tra corsa scudetto e Serie A
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Affrontiamo anche il discorso relativo alla corsa scudetto: Inter e Napoli sono appaiate in testa con 71 punti e si profila un possibile spareggio finale. L’Inter ha perso a Bologna, il Napoli sembra in crescita con Conte e ha calendario migliore. Chi vedi favorito?
"Guarda, per quanto riguarda la corsa scudetto tra Inter e Napoli, io l’ho detto anche prima della partita contro il Bologna: secondo me il Napoli è favorito. Ha un calendario decisamente più semplice rispetto all’Inter, che invece deve affrontare anche la ChampionsLeague. Il Napoli gioca una volta a settimana, può preparare le partite con più calma, e questo fa la differenza. Anche la gara di Bologna ne è stata una dimostrazione: l’Inter ha faticato, e lì si è vista la difficoltà di gestire impegni ravvicinati. Il Napoli, invece, può concentrarsi solo sul campionato e questo, unito alla voglia di rivalsa, lo rende molto più motivato. Io vedo favorito il Napoli nella corsa scudetto".
Novità tattiche in Serie A: Il Bologna di Italiano e l’Atalanta di Gasperini stanno facendo bene con identità precise. Quali sono secondo te le principali novità o conferme tattiche della stagione? Qualcuno ti ha colpito per la capacità di innovare?
"Guarda, sì, ci sono tante squadre che stanno facendo molto bene, come Atalanta e Bologna, e questo dipende soprattutto dal tipo di lavoro che fanno gli allenatori. Parliamo di tecnici che credono molto nella tattica individuale: il duello, la lettura degli spazi, l’inserimento. Si sta andando sempre di più verso un calcio fatto di situazioni, non solo di schemi collettivi. Secondo me, questa è una cosa positiva. Gli allenatori vincenti oggi sono quelli che lavorano tanto sull’individualità, sulle situazioni di gioco reali. Ed è lì che si fa la differenza. Gasperini, ad esempio, ha portato questa innovazione già da tempo. Ma anche Tudor, alla Juventus, o Vincenzo Italiano, che lavora tantissimo sull’uno contro uno, sull’autostima dei giocatori nei duelli".
"Saltare l’uomo, non far segnare l’uomo, diventano sfide personali, motivazioni vere. E quando i giocatori si divertono, rendono di più. Secondo me il futuro sarà proprio questo: la tattica individuale, i duelli, l’uno contro uno. In un certo senso, si sta tornando al calcio di un tempo. Dopo anni di zona, fuorigioco, linee difensive alte e automatismi esasperati, ora si punta di nuovo sul calcio situazionale, quello reale, quello fatto di uomini prima che di schemi".
L'importanza del ruolo di Match Analyst
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Match Analyst: Ruolo sempre più centrale ma poco riconosciuto in Italia. Cosa manca ancora per valorizzarlo davvero? Quali sono oggi le competenze fondamentali per un buon match analyst?
"Il ruolo del Match Analyst oggi è una figura molto evoluta, ormai fondamentale all’interno di uno staff tecnico. Io personalmente ho seguito sia il primo che il secondo corso in federazione, ottenendo l’abilitazione, quindi parlo anche per esperienza diretta. Ora stanno nascendo tantissimi corsi sui Match Analyst, ma secondo me bisognerebbe tornare un po’ a quello che era l’approccio iniziale: un Match Analyst deve anche essere un allenatore, o quantomeno avere competenze da allenatore. Perché deve conoscere la tattica, non solo studiata sui libri o al computer, ma vissuta sul campo".
"La differenza vera la fa proprio questa esperienza diretta: sapere cosa vuol dire preparare una partita, riconoscere una situazione tattica perché l’hai allenata, corretta, vissuta. Le situazioni tattiche vanno provate, analizzate con occhio clinico, e questo lo può fare solo chi ha vissuto il campo. In passato, la federazione dava l’accesso al corso solo a chi aveva già un’abilitazione da allenatore. Poi, col tempo, hanno aperto a tutti, perché il ruolo è cresciuto molto. Ma io resto convinto che per essere un vero Match Analyst serva anche una solida base tecnico-tattica, quella che solo chi ha fatto l’allenatore può avere davvero. Infatti, alla lunga, le figure più richieste sono proprio quelle con doppia competenza. E oggi, all’interno di uno staff tecnico, il Match Analyst è diventato una figura chiave, forse addirittura più importante dell’allenatore in seconda. In un calcio sempre più situazionale, tattico, analitico… nessun allenatore professionista può più fare a meno di un professionista preparato e competente".