INFO UTILI SULLA DIPENDENZA

Perché i calciatori cadono nella rete dell’azzardo: cause e conseguenze

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Non va sottovalutato il ruolo dell'entourage tecnico: allenatori, preparatori e dirigenti devono essere consapevoli del problema e formati per riconoscerne i sintomi.
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Redazione DDD Direttore responsabile 

Il pallone rotola, le emozioni si infiammano, e le gradinate vibrano. Ma dietro la magia del rettangolo verde, si cela un fenomeno insidioso che sta catturando sempre più protagonisti del calcio: la dipendenza dal gioco d'azzardo. Un problema sommerso che recentemente è arrivato agli onori della cronaca per via di alcuni scandali e inchieste. Ma se quando si parla di stelle del calcio la notizia ha una risonanza nazionale, non significa che ad essere a rischio siano solo i campioni. Il problema infatti è generale, e i giovani ne sono sempre più colpiti.

Ottantotto miliardi e trecentottanta milioni di euro: questa la cifra astronomica che gli italiani hanno investito nel gioco d'azzardo nel 2021. Un dato che, seppur in calo rispetto ai fasti pre-pandemici del 2018, testimonia una passione radicata e in rapida ripresa. Come dimostrano i dati pubblicati dall’ente Giocoresponsabile.info.

Le ragioni dietro alla costante crescita del gioco sono numerose e non sempre facili da identificare. Ma una cosa è certa: oggi l'accesso a questo mondo è più semplice che mai. Basta un click, uno smartphone, e la porta verso l'ebbrezza della puntata si spalanca. I casinò online pullulano di offerte ma sono soprattutto i siti di scommesse sportive a farla da padrone, calamitando un numero crescente di appassionati, e non solo.

La vulnerabilità dei calciatori e la cultura del gioco negli spogliatoi

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A differenza di quanto si possa pensare, non è la facilità con cui si può giocare al giorno d'oggi la variabile più importante nel caso dei calciatori. Anzi, se per il cittadino medio europeo il rischio di sviluppare ludopatia si attesta intorno allo 0,5-0,8%, tra i calciatori professionisti questa percentuale schizza vertiginosamente verso l'alto, toccando una punta minima del 13%.

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Un dato allarmante, frutto di ricerche condotte da istituti di prestigio come il Karolinska Institutet di Stoccolma e le università di Oxford e Londra, che mette in luce una vulnerabilità specifica di questa categoria di atleti. Un calciatore di Premier League, confessando la sua dipendenza agli studiosi, ha ammesso: "Scommettere mi dava lo stesso entusiasmo, la stessa eccitazione del gol o della vittoria. Un brivido a cui potevo accedere senza limiti e che mi ha tolto ogni freno".

Ma cosa rende i calciatori così esposti a questo rischio? Non si tratta, sorprendentemente, dell'influenza delle pubblicità o delle sponsorizzazioni di aziende di betting, proibite in Italia dal Decreto Dignità. La radice del problema è più profonda, serpeggiando all'interno degli spogliatoi e alimentata da una vera e propria sottocultura del gioco.

È in questo contesto che le scommesse, spesso clandestine e gestite tramite contatti diretti con allibratori, diventano una sorta di rito di passaggio, un modo per cementificare lo spirito di squadra. Partite di poker con puntate vertiginose, pronostici sulle corse di cavalli: l'azzardo si insinua nella quotidianità degli atleti, normalizzando comportamenti potenzialmente distruttivi. Questa tendenza, secondo gli esperti, ha trovato terreno fertile durante l'isolamento da Covid, quando la noia e la mancanza di alternative hanno spinto molti giocatori verso le piattaforme online.

Solitudine, pressione e disponibilità economica: un mix pericoloso

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Il profilo del calciatore a rischio, tracciato dagli studi, ricalca quello dello scommettitore tipo: maschio, under 35, con un livello di istruzione medio-basso e, spesso, senza responsabilità familiari stringenti. A ciò si aggiunge la solitudine, un paradosso per chi vive in un ambiente di squadra ma che, a causa di barriere linguistiche, culturali o semplicemente caratteriali, fatica a costruire legami autentici.

Le lunghe trasferte, le pause tra un allenamento e l'altro, si trasformano in un vuoto da colmare, e l'azzardo si presenta come un passatempo facile e accessibile, alimentato anche da una disponibilità economica spesso considerevole.

Le pressioni di una carriera sempre più competitiva, il giudizio implacabile dei social media, la paura costante di un infortunio che possa compromettere il futuro: tutti questi fattori contribuiscono a creare uno stato di ansia e stress che può trovare sfogo nella ricerca effimera di emozioni forti offerta dal gioco. Alcuni calciatori, inoltre, traslano sul tavolo da gioco la loro competitività, confondendo l'abilità sportiva con la fortuna, in un pericoloso tentativo di rivivere l'adrenalina della partita.

Le conseguenze di questa spirale possono essere devastanti. Dalle prime puntate goliardiche si può scivolare in un baratro fatto di debiti, perdite ingenti e, nei casi più gravi, il coinvolgimento in giri di scommesse illegali. La dipendenza intacca le prestazioni sportive, minando la concentrazione e la disciplina necessarie per eccellere sul campo.

Ma è la sfera personale a subire i danni più profondi: ansia, depressione, isolamento sociale e problemi relazionali diventano compagni indesiderati. L'eco mediatica di casi come quello di Nicolò Fagioli e Sandro Tonali, travolti dallo scandalo scommesse, rappresenta solo la punta dell'iceberg, un monito su quanto il problema sia radicato e complesso.

Prevenzione e intervento: la responsabilità dei club

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La soluzione non è semplice, ma passa necessariamente attraverso un cambio di mentalità e un impegno concreto da parte dei club. È fondamentale investire nella prevenzione, sensibilizzando i giovani calciatori fin dalle categorie giovanili sui rischi del gioco d'azzardo. Occorre sradicare quella cultura tossica che vede le scommesse come un elemento di aggregazione, promuovendo alternative sane per il tempo libero e favorendo un ambiente di squadra più inclusivo e supportivo.

I club dovrebbero dotarsi di specialisti in grado di individuare i primi segnali di disagio e offrire un sostegno psicologico adeguato ai giocatori in difficoltà. Non va sottovalutato, infine, il ruolo dell'entourage tecnico: allenatori, preparatori e dirigenti devono essere consapevoli del problema e formati per riconoscerne i sintomi.