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Dopo tanti anni passati in Inghilterra, in Premier League, l'ex tecnico del Tottenham, Mauricio Pochettino, si è confidato al The Telegraph per raccontare com'è nata la sua avventura alla guida della nazionale degli Stati Uniti. L'allenatore argentino ha svelato che è stato vicino anche alla panchina dei Tre Leoni: "L’Inghilterra è una seconda casa per me adesso; ma io sono argentino, poteva essere una situazione controversa", ha affermato Pochettino, senza usare troppi giri di parole. "Prima ero sempre al centro del dibattito come possibile successore di Southgate, ma a causa del mio rapporto con Daniel Levy (il presidente del Tottenham, ndr), mi diceva sempre che il calcio è una questione di tempismo. La decisione di iniziare a cercare un allenatore è stata presa dopo che avevo già firmato con gli Usa. Ho firmato e dopo la FA ha scelto Tuchel: non ne sono rimasto sconvolto".
Pochettino non ha dimenticato però i tanti anni passati al Tottenham, club nel quale vorrebbe tornare un giorno: "Vorrei farlo prima o poi. Vorrei vincere un giorno con il Tottenham. Eravamo così vicini a farlo (ricorda la finale di Champions League persa contro il Liverpool, ndr) ed è stato veramente doloroso. Al Chelsea ho passato un'annata molta produttiva, ma con gli Spurs sono rimasto quasi cinque anni e mezzo, in cui siamo riusciti a lottare per la Premier League, quando prima la squadra giocava per obiettivi ben diversi".
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Oggi Pochettino siede sulla panchina della nazionale statunitense, campo di interesse anche del presidente a stelle e strisce Donald Trump: "Stavo ascoltando una conversazione tra il nostro presidente (Trump, ndr) e il presidente della Fifa, Gianni Infantino. Il presidente gli ha chiesto: ‘Possiamo vincere la Coppa del Mondo?’ e Infantino ha replicato di sì. Sono rimasto deluso da questa risposta. Avrebbe dovuto dire: ‘Devi chiedere al tuo allenatore, Pochettino. Perché di sicuro può darti un’opinione migliore’. Credo che Trump ci metterà tanta pressione, poiché siamo il paese ospitante. Una nazione in cui la mentalità è quella di vincere sempre: gli americani, nello sport, non si accontentano di partecipare. Questa è la loro cultura. Comunque per me sarà una pressione ben voluta: sentiremo l’adrenalina di cui abbiamo bisogno".
Infine, un breve commento alla sua nuova vita in America: "È emozionante per molti motivi. Non solo per la sfida del campo, che è ovviamente quella principale, ma anche per sperimentare una cultura diversa con persone nuove. Gli Usa sono sempre stati un paese misterioso per me, per questo ho ascoltato l’offerta e la possibilità di essere lì. Sono molto emozionato".
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