Roma-Fiorentina finisce 1-0. I giallorossi non muoiono mai: non incantano, ma graffiano. Non dominano, ma colpiscono. Quella che scende in campo tra le mura di casa - all'Olimpico - è una Roma affilata, essenziale, spietata. Si prende i tre punti con la freddezza dei vincenti. Contro la Fiorentina basta un solo lampo: un gol di Artem Dovbyk allo scadere del primo tempo, servito da Shomurodov come si serve una sentenza. Secca. Inappellabile.
l'editoriale
Roma-Fiorentina 1-0: Ranieri graffia, colpisce e scappa via

È la Roma di Claudio Ranieri. Non solo in panchina, ma nell’anima. Nel corpo. Nella grammatica di gioco riscritta giorno dopo giorno: non gioca per piacere, gioca per sopravvivere. E nella sopravvivenza è diventata regina. Non sbaglia, non concede, non molla. Ogni secondo vale oro. A dimostrarlo è il terzo 1-0 consecutivo: non una coincidenza, ma un metodo, una filosofia. Un che gol arriva alla fine di un primo tempo in equilibrio.
Nella ripresa, però, emerge un nome solo: Mile Svilar. È il muro tra il sogno della Fiorentina e la realtà. Para tutto. Con i piedi, con i riflessi, con l’istinto, con la rabbia. Kean ci prova in ogni modo, ma trova sempre lui. L'impressione è che, se la porta fosse anche larga il doppio, Svilar la coprirebbe lo stesso.
La Fiorentina, però, c’è. È viva, corta, intensa. Produce più di quanto la Roma abbia concesso a chiunque negli ultimi due mesi. Cinque occasioni limpide. Ma il calcio è feroce: chi spreca, paga. E all’Olimpico il conto arriva sempre con gli interessi. Palladino lo capisce e tenta il tutto per tutto, cambia e rimescolale carte. Fuori Gudmundsson, Fagioli e Beltran. Dentro uno Zaniolo fragile, a disagio in un ambiente che lo fischia a ogni tocco. La Fiorentina palleggia bene, tiene campo, crea. Ma non concretizza. E nel calcio è peccato mortale.
La Roma, invece, aspetta. Morde quando serve. Contiene quando la tempesta viola minaccia di travolgere tutto. E colpisce al momento giusto. L’azione del gol è chirurgica: cross di Angelino, sponda di Shomurodov, incornata di Dovbyk. Apparentemente semplice, in realtà costruita con fatica, ripetizione, tempismo. È un gol che nasce nel fango dell’allenamento e sboccia sotto i riflettori dell’Olimpico.
Ora la Roma sente l’odore del traguardo. Il quarto posto non è più un sogno: è un campo di battaglia. Juventus, Lazio, Bologna: tutte lì, tutte a un passo. Ma Ranieri ha una carta prestigiosa: la mano ferma in mezzo alla burrasca. In pochi mesi ha trasformato una squadra fragile nella miglior formazione del 2025 nei top 5 campionati. 43 punti in 17 partite, miglior difesa, più clean sheet che gol subiti.
Svilar, con 15 gare a porta inviolata, è tra i portieri più affidabile d’Europa. Dovbyk, 12 reti al debutto in Serie A, è l’attaccante straniero più prolifico della stagione. Shomurodov rinasce. Soulé si scopre devastante. Cristante festeggia le 300 in Serie. Ranieri riesce persino nell'arduo compito di non far sentire l'assenza di Dybala.
Dall’altra parte, la Fiorentina esce a testa alta, ma con le mani vuote. Il sogno Champions si allontana, la corsa all’Europa League si complica. Giovedì, contro il Betis, è una finale travestita da semifinale di ritorno. Senza margini, senza appello. Servono fuoco, pubblico, orgoglio. Non bastano più le prestazioni, servono risultati. Lo dimostra questa Roma con una chiarezza brutale: la Roma non incanta, ma vince. E oggi, per andare avanti, è l’unica arte che conta davvero.
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