A mezzo secolo dallo scudetto del Cagliari (club che quest’anno festeggia il centenario), Ricky Albertosi, la saracinesca della squadra guidata da Manlio Scopigno, apre lo scrigno delle sue memorie rossoblù. «Ricordo tutto di quell’annata, e come non potrei... Tutto, a partire dalla grande coesione tra noi giocatori e l’allenatore, Scopigno. Un gruppo straordinario. Vincemmo con una squadra a cui nessuno aveva dato credito, in una Sardegna bistrattata da tutti, conosciuta per rapimenti e banditismo». Quello fu un progetto perfezionato negli anni, come ha confermato lo stesso Albertosi al giornalista e scrittore Sergio Taccone per Avvenire: "Arrivato a Cagliari, nel ’68, trovai una buona squadra. Lottammo fino alla fine per lo scudetto, vinto dalla Fiorentina, club da dove provenivo. Con gli innesti di Domenghini, Gori e Poli prendemmo il volo. Quando subentrò la consapevolezza di potercela fare? A Firenze, alla quinta di andata. Riva fu decisivo su rigore, al resto pensò la difesa. Quel giorno prendemmo la vetta della classifica senza più mollarla fino a quel 12 aprile che adesso sarà la domenica di Pasqua".

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Il grande Cagliari, Albertosi: “Calcio di oggi senz’anima, mi tengo Scopigno che mi lasciava andare all’Ippodromo”
Il Cagliari del '70 e il Mondiale del '70 nelle parole di Ricky Albertosi
Che difesa era? "Giravamo tutti bene. Avevo compagni di reparto eccezionali e se un difensore sbagliava, subentravo io con le mie parate e tutto si sistemava. Appena 11 reti subite, record imbattuto per i campionati a 16 squadre. La mossa decisiva di Scopigno fu portare Cera nel ruolo di libero dopo l’infortunio di Tomasini. Cera svolse quel compito egregiamente e si conquistò anche il ruolo nella Nazionale di Valcareggi ai Mondiali del ’70".
E poi avevate Gigi Riva, il fuoriclasse. "Certo, Gigi fu spesso decisivo. Siamo rimasti grandi amici. A Cagliari e ai Mondiali in Messico dormivamo nella stessa stanza. Senza il suo infortunio in Austria, l’anno dopo lo scudetto, avremmo fatto il bis in campionato. Nell’estate del 1974 dovevo passare alla Juventus insieme a lui. Cercai di convincerlo ma fu irremovibile nel dire no. Il suo rifiuto fermò anche me che poi andai al Milan. Come si comportava Scopigno con i giocatori? Era un grande uomo che prediligeva il dialogo, quasi mai dava ordini. Creò un modulo di gioco innovativo, con schemi elastici. Conosceva la mentalità di tutti i giocatori e ti responsabilizzava. I ritiri con lui non esistevano. Quando giocavamo in trasferta si partiva il venerdì da Cagliari, andavamo a Roma e il giorno dopo ripartivamo per raggiungere la città dove saremmo stati di scena in campionato. Nel tempo libero, i miei compagni seguivano l’allenatore al cinema mentre io preferivo l’ippodromo. Scopigno mi lasciava ovviamente libero, ricordandomi soltanto di rientrare alle 19.30 per la cena. Arrivavo sempre puntuale"
Quest’anno decorre anche il mezzo secolo di Messico ’70 e della partita del secolo, Italia-Germania 4-3. C’era tanto Cagliari in quell’Italia: "Eravamo in sei, cinque dei quali titolari. Valcareggi puntò su una difesa con il sottoscritto tra i pali e la coppia centrale Cera-Niccolai. Poi Comunardo si infortunò e subentrò Rosato che disputò un grande mondiale. Mancò solo la ciliegina sulla torta del titolo mondiale. In finale trovammo un Brasile stratosferico, fortissimo. Dopo la massacrante sfida contro i tedeschi, resistemmo 65 minuti ad un attacco che schierava Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelè e Rivelino. Il Brasile del 1982, ad esempio, era ben poca roba al confronto con quello che incontrammo noi in Messico, a mio avviso la Seleçao più forte di tutti i tempi. Mollammo dopo il secondo gol... Il calcio di oggi? È senz’anima. La dittatura dei procuratori ha cambiato tutto. In peggio ovviamente. Un altro scudetto a Cagliari? Sarebbe bellissimo, in un momento da incubo come questo che stiamo vivendo per il Coronavirus lo vedo come il più bel sogno per il futuro".
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