La storia

Juventus-Fiorentina: romanzo avvelenato tra polemiche, tensioni e colpi bassi

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Dalle prime sconfitte della Fiorentina alla guerriglia urbana nell'estate del 1990.
Lorenzo Maria Napolitano
Lorenzo Maria Napolitano

"Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio", affermano non troppo goliardicamente i lucchesi. Non che scorra buon sangue tra i livornesi e gli stessi pisani, che sognano di: "Svegliarsi a mezzogiorno, guardare verso il mare e non vedere più Livorno". Tra l'altro, per ripercorrere la rivalità tra fiorentini e senesi, bisognerebbe sfogliare diversi capitoli del libro di storia partendo dalla battaglia di Montaperti (1260). L'inimicizia tra empolesi e fiorentini, infine, è abbastanza nota: parenti serpenti divisi da venti chilometri e una manciata di rotonde.

Insomma, come sosteneva lo scrittore tedesco Johann Goethe l'Italia è un paese di campanili, ma le diverse realtà della Toscana hanno senz'altro alimentato più di altre i miti intorno alla propria unicità. E questa forte frammentazione, che affonda le sue radici nella storia e nella cultura locale, non poteva non trovare perfetta rappresentazione nel calcio, lo sport più popolare del paese. Sport, peraltro, che almeno nel nomen da quelle parti si pratica da secoli.

È, dunque, tutti contro tutti. Botte da orbi. Ogni squadra, ogni città, vive a pieno la rivalità calcistica-sociale con le corregionali. Ma nonostante la Fiorentina coltivi le suddette antipatie in tutta la Toscana, è con la Juventus che fa respirare ai suoi tifosi l'aria di un vero e proprio derby nel senso più puro della parola. Quello che, qualche anno fa, è stato approfondito sulle pagine del quotidiano fiorentino La Nazione, secondo cui: "Derby è un qualcosa da attendere per un anno intero e poi vivere con la sofferenza di chi sa che questo deciderà la fortuna o la sciagura di un'intera stagione sportiva", aggiungendo: "In Toscana non ci sono derby, ci sono solo campanili feroci e fantastici, Pisa contro Livorno, Siena contro Grosseto, Pistoia versus Prato, Massese e Carrarese", chiosando fieramente con: "Qualcosa che solo noi abbiamo". 

Tutte queste squadre sono accomunate dalla "sofferenza" provata verso l'altezzosità della Fiorentina, la quale, a sua volta, riconosce soltanto nella Juventus una "degna" avversaria. Perché è la “Viola” ad aver sgomitato per guadagnarsi la credibilità di poterla definire rivale, grazie ad una grande capacità attrattiva e diversi trofei prestigiosi in bacheca. Dunque, non c'è territorialità che tenga: è il confronto con la Vecchia Signora a elettrizzare davvero Firenze, in uno scontro che oppone l'arte fiorentina all'efficienza torinese.

Storia della rivalità

D'altronde sentire la Juventus come vera rivale è un modo per distinguere il proprio destino dalle squadre geograficamente più vicine, figlie di un gol minore intrappolate in sfide meno ambiziose. Ma non si racchiude nel mero status lo scontro con i bianconeri, dato che ci sono stati eventi nel corso degli anni che ancora devono essere digeriti. A livello storico, infatti, la rivalità con la Juve è stata plasmata da match, scontri verbali, trasferimenti incrociati e tanto altro che va oltre il rettangolo di gioco.

Le prime brucianti sconfitte

A soli due anni dalla sua fondazione, il 7 ottobre 1926, la Fiorentina ha subìto la più larga sconfitta della sua storia: un 11-0 inflitto dalla Juventus nella Divisione Nazionale, 29° edizione della massima competizione calcistica italiana dell'epoca. Una vera e propria umiliazione che si ripetè, in termini leggermente minori, il 22 febbraio 1952 al Comunale di Torino, dove il tabellino recitò un sonoro 8-0. E, gara dopo gara, è sempre cresciuto nei fiorentini un senso d'insofferenza che sfiorava l'odio, come se ogni vittoria bianconera fosse una nota stonata nella melodia che Firenze sognava di suonare.

Dal canto suo la Juve non è che s'è resa particolarmente simpatica, anche per mezzo della costante rivendicazione di un proprio "stile". Che poi, cos'è realmente lo stile Juve? Non c'è una risposta precisa, manca una semplice definizione. Può aiutare a capire il concetto la spiegazione di Felice Accame, docente di Teoria della Comunicazione presso il settore tecnico della Figc, che ha detto al Manifesto: "Quando i dirigenti bianconeri dicono Juventus prendono le distanze rispetto al senso popolare del termine. Uno di loro usava l'espressione «Noi di Juventus», eliminando l'articolo togliendo la consuetudinarietà, conferendo una nuova nobiltà al termine. Può sembrare una sciocchezza, ma non lo è".

La Juventus è infatti anche signorilità, savoir faire, classe ed eleganza. Al di fuori di Torino, però, quest'atteggiamento viene definito come proprio di chi ha un'arroganza di chi è abituato a governare. E il popolo di Firenze, sopra tutti, ha sempre voluto essere in direzione ostinata e contraria - come cantava De André - a questa presunta e volgarmente definita spocchia.

Agnelli

Lo scudetto assegnato all'ultima giornata di Serie A 1981/1982

"Tu sei un gobbo!", nel capoluogo toscano non esiste offesa peggiore. Soprattutto dall'estate del 1982, quando Fiorentina e Juventus arrivarono a contendersi lo scudetto fino all'ultima giornata. Gigliati e bianconeri quell'anno approcciano l'ultimo atto con 44 punti a testa. Entrambe in trasferta e con lo spauracchio di un pareggio che sarebbe stato un problema visto il Mondiale in Spagna. La Fiorentina è impegnata al Sant'Elia di Cagliari, mentre la Juventus sfida il Catanzaro.

Risultati bloccati su entrambi i campi, almeno fino al gol di Ciccio Graziani, un lampo di gioia che attraversa il cuore di Firenze. Ma con un gesto freddo e implacabile il direttore di gara spense l'entusiasmo dei tifosi viola, dichiarando il gol irregolare per via di un fuorigioco. Uno scherzo del destino volle che dopo pochi minuti alla Juventus venisse assegnato un calcio di rigore, che fu realizzato da Liam Brady, decretando così la conquista del ventesimo scudetto del club piemontesi. Così, nel giro di poco, l’euforia viola si trasformò in amarezza, mentre il cielo sopra Firenze si tinse di (bianco)nero.

"Per me il gol era regolare", disse De Sisti al termine del match. Parole che altro non fecero se non alimentare l'ossessione verso un titolo strappato, "rubato"; quell'estate, nonostante fu più dolce per il Mondiale vinto, seminò un germe di astio tra fiorentini e juventini, che iniziò a crescere sempre di più.

"Quella sporca finale"

Le coppe europee della stagione 1989/1990 rispettano il trend del Mondiale, il pragmatismo delle squadre italiane e tedesche (e di Italia e Germania) fa scuola: nessuno riesce a infrangere i muri che alzano in campo. Il Milan vince la Coppa dei Campioni contro il Benfica, in Austria, mentre in Coppa Uefa si sfidano in semifinale Juventus-Colonia e Werder Brema-Fiorentina.

La squadra allenata da Zoff accede alla finale vincendo 3-2 a Torino e mantenendo la parità in Germania, inchiodando il risultato sullo 0-0. All'atto finale ci arriva pure la squadra di Graziani, che approfitta della regola secondo cui in caso di parità, i gol in trasferta valgono doppio. I toscani infatti non battono il Werder Brema nel doppio confronto, ma il gol segnato in Germania da Marco Nappi è sufficiente per diventare la seconda finalista.

Il primo match (anche la finale prevedeva andata e ritorno) si gioca a Torino e la Fiorentina subisce subito la rete di Roberto Galia, dopo soli tre minuti dal fischio d'inizio. È una doccia fredda, gelida: a Firenze si rivivono i fantasmi di otto anni prima, stavolta dinanzi all'Europa intera. Un eroico Renato Buso però si veste da eroe e ripristina la parità, che si protrae fino alla fine del primo tempo. La seconda metà di partita si apre con il gol di Casiraghi, arrivato dopo una spinta passata inosservata che fa risentire ai fiorentini il sapore amaro dell'ingiustizia; chiude definitivamente la partita e gran parte della finale la rete del difensore De Agostini al settantatreesimo. Il match finisce con forti tensioni e soprattutto polemiche verso l'arbitro da parte dei ragazzi di Graziani.

Scoppia il finimondo quando ai microfoni arrivano Gigi Casiraghi e Celeste Pin, stopper della Fiorentina. Il 9 bianconero afferma: "Non è colpa mia se la Juve è più potente della Fiorentina", ed il cinque viola controbatte con un inequivocabile: "La JuveSquadra di ladri". La finale sembra ormai decisa, serve un miracolo alla Fiorentina per ribaltare il risultato. Peraltro, la partita di ritorno non si gioca neanche al Franchi, inutilizzabile per dei lavori in vista del Mondiale, ma al Partenio di Avellino. In Campania poche emozioni e nessuna rete: la foto della partita è il passaggio all'indietro di Alejnikov verso Tacconi, al primo tocco di palla. Così, la prima finale di Coppa Uefa tutta italiana va alla Juventus tra un mare di pungenti scontri verbali.

Addirittura, dopo più di vent'anni, l'ala della Fiorentina Alberto Di Chiara scriverà un libro intitolato "Quella sporca finale", in cui si leggerà: "Quando sono arrivato a Firenze non comprendevo perché la gente odiasse così tanto la Juventus. Quando sono andato via, avevo capito tutto".

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Il trasferimento di Baggio, una cessione che scatenò rivolte

Non passa neanche un mese dall'amara sconfitta in finale di Coppa Uefa, che la dirigenza della Fiorentina cede alle avance della Juventus per il suo giocatore simbolo, Roberto Baggio. Il contesto in cui tutto ciò avviene sembra disegnato a regola d'arte dal diavolo.

Se la Fiorentina è arrivata sorprendente in finale di Coppa Uefa non è perché quell'anno è una corazzata super attrezzata, infatti riesce a salvarsi dalla retrocessione in B soltanto agli sgoccioli del campionato del 1989/1990 contro l'Atalanta. Ma non era tanto questo a preoccupare i tifosi viola perché ciò che dilaniava la loro anima era l'imminente trasferimento di Baggio alla Juventus: proprio loro, quelli dello scudetto sfiorato nel 1982, gli stessi che avevano vinto da pochissimi giorni la Coppa tra mille polemiche.

Il fiato sul collo ai Pontello (famiglia proprietaria della Fiorentina negli anni '80) i tifosi lo hanno fatto sentire e come nel corso della stagione. Soprattutto perché Baggio ha più di una volta rimarcato il suo amore verso Firenze Fiorentina. Tant'è che dopo la partita contro i bergamaschi decisiva per la salvezza il Divin Codino ha detto: "Se mi vogliono vendere devono assumersi le loro responsabilità. Basta con i giochi sulla mia pelle".

La situazione è più instabile di un nocciolo di un reattore nucleare - ha scritto Dario Saltari su l'Ultimo Uomo, inquadrando perfettamente la situazione. L'esplosione arriva durante la conferenza stampa convocata da Antonio Caliendo, procuratore di Baggio, in cui non solo viene comunicato il passaggio alla Juventus, ma viene ribadito da Claudio Pontello: "La nostra famiglia resterà sempre al comando della società".

Per i tifosi della Fiorentina, tutto ciò rasenta i limiti dell'umiliazione. La risposta verso questo affronto uscirà dalle pagine dello sport per entrare in quelle della cronaca. Si radunano centinaia, poi migliaia di cittadini (non più solo tifosi) inferociti che la polizia non sa come contenere. "La polizia spara dei lacrimogeni per disperdere la folla - scrive Saltari -, alcuni agenti iniziano ad avanzare roteando i manganelli. I tifosi della Fiorentina sembrano moltiplicarsi di minuto in minuto - alcuni vanno a un cantiere vicino e raccolgono mattoni e sampietrini da lanciare verso la polizia. Un carabiniere rimane a terra con la faccia insanguinata. A quel punto le autorità decidono di inviare rinforzi, non solo alla sede della Fiorentina ma anche a casa del conte Flavio Callisto, dove infatti di lì a poco si raduneranno altre centinaia di tifosi viola.

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I disordini vanno avanti per giorni, fin quando l'attenzione non si sposterà verso la Nazionale di Vicini per la Coppa del Mondo che, per fortuna, addolcisce leggermente gli animi cullando i tifosi sulle note di Un'estate Italiana.

Ma non è finita qui, o meglio, la guerriglia urbana sicuramente sì, ma la storia d'amore che lega Baggio e la Fiorentina no: perché alla presentazione in bianconero Baggio rifiuta di indossare la sciarpa della Juventus, dichiarando di presentarsi al mondiale da fiorentino e non da juventino. E nel 1991, quando torna a Firenze con la maglia della Juve, si rifiuterà di tirare un calcio di rigore, che verrà battuto da De Agostini. Il rigore sarà sbagliato e la partita terminerà in favore della “Viola”, ma è un'altra storia. Il momento fotografato dalla storia, però, avviene quando Baggio esce dal campo. Avviatosi sulla panchina, con un enorme giaccone nero, incrocia lo sguardo con una sciarpa della Fiorentina che gli è stata lanciata. Silenziosamente la raccoglie, e la porta con sé. Sarà il suo omaggio a quella gente che lo aveva protetto e reso grandissimo.

I successivi screzi

La storia legata al nome di Baggio è l'ultima di una rivalità che vale la pena essere raccontata così com'è, nuda e cruda. Le nuove generazioni, però, hanno comunque vissuto momenti importanti nella lunga narrazione di questa forte inimicizia. A partire dal celebre caso Berbatov, nel 2012, per restare in tema di trasferimenti. Il calciatore del Manchester United era promesso sposo della Fiorentina, ma s'inserì la Juventus ad accordo quasi concluso, quando mancavano visite mediche e firma. Alla fine l'attaccante non scelse neanche i bianconeri, ma si accasò al Fulham.

Il club viola, però, colse l'occasione per emettere un duro comunicato che, tra le righe, recita anche: "Il calciatore si era imbarcato, in compagnia del suo procuratore e con biglietti pagati dalla Fiorentina, su un volo diretto a Firenze. Ma a Firenze il giocatore non è mai arrivato. A causa di operazioni spericolate e arroganti di altre società, che niente hanno a che fare con i valori della correttezza, del fair play e dell’etica sportiva e che si collocano oltre i confini della lealtà".

Altrettanto roboante fu il trasferimento di Federico Bernardeschi, che viene acquistato dalla Juventus per 40 milioni di euro nel 2017. Rispetto a Chiesa (passato in bianconero nel 2020) e Vlahovic (nel 2022), Bernardeschi aveva ammesso di voler diventare una bandiera del club, ma dopo soli tre anni si fece - senza alcuna colpa, sia chiaro - sopraffare dalla competitività internazionale della Juventus. Tra l'altro, quando tornò con la maglia della Juventus al Franchi, oltre a essere bersagliato di fischi, segnò anche un gran gol su punizione, esultando in modo non del tutto pacato.

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Non solo sconfitte

Il 20 ottobre è una data speciale a Firenze. Quel giorno, 11 anni fa, si presentava al Franchi la fortissima Juventus di Antonio Conte, trascinata dalla qualità di Carlo Tévez. La Fiorentina non batteva la Juventus in casa da 15 anni ed il gol dell'argentino, prima, e di Pogba poi, mandano in frantumi i sogni di una possibile rivincita. Tra l'altro, entrambi hanno esultato mimando la leggendaria mitragliata di Gabriel Batistuta, idolo di Firenze.

I padroni di casa, sugli spalti, non la prendono benissimo, e decidono di far piovere fischi ancora più potenti dopo quel momento. La dea della fortuna, evidentemente, al pari dei tifosi, non ha apprezzato il gesto dei due juventini, e ha deciso di sorridere alla squadra allenata da Vincenzo Montella, che nel secondo tempo sfodera una delle prestazioni più belle sotto la guida dell'ex Roma.

Ci pensa Giuseppe Rossi a farsi portatore dei sogni dei fiorentini, trasformando un calcio di rigore al 65° accorciando lo svantaggio. Sarà solo l'inizio della serata più dominante della sua carriera, in cui realizzerà altri due gol in scarsi 15 minuti. Perfeziona la rimonta il fresco entrato Joaquin, mandando in visibilio i tifosi viola. Il giorno dopo Batistuta bacchetterà Tevez: “È un grande giocatore, ma la mia esultanza era completamente diversa. La mia sparava davvero. E comunque gli ha portato male”.

I tifosi della Fiorentina sperano di rivivere emozioni del genere, continuando il loro romanzo con la Juventus avvelenato da polemiche, tensioni e colpi bassi. Soprattutto in questa stagione, dove i tempi sembrano maturi per poter - finalmente - proseguire un campionato guardando i bianconeri dall'alto verso il basso.

 

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