Cinque stagioni con la Sampdoria, altrettante con il Bologna. Due piazze calde, due storie intense che si intrecciano nel percorso di Angelo Da Costa, oggi tornato a vivere in Brasile, ma con l’Italia nel cuore. "Abiti a Parma, ma sei originario della provincia di Avellino? Mi piaceva tantissimo quella zona. Mi ricordava molto il Brasile, soprattutto per il calore della gente. Quando andavo a giocare lì sentivo affetto… sembrava di essere a casa".
ESCLUSIVA
ESCLUSIVA Da Costa: “Bologna, che mentalità! Samp, dovevi cambiare prima. E su Ancelotti…”

Umile, gentile, cordiale, merce rara al giorno d'oggi. Intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni l'ex portiere blucerchiato e felsineo ha ripercorso le fasi salienti della sua carriera, l'amore per i propri tifosi, il legame con Sinisa Mihajlovic, soffermandosi anche sul presente delle sue "vecchie casacche".
Il trionfo bologneseera solo questione di tempo, il risultato di tanti anni di programmazione: "Quando parlavamo anni fa del progetto, si diceva - calma, stiamo costruendo - E così è stato". Alla Sampdoria, invece, secondo l'ex estremo difensore carioca è mancata continuità e la presenza di una forte componente identitaria: "I cambi dovevano arrivare prima, altrimenti non riesci più a raddrizzare la stagione".
Come va la vita in Brasile? Ti sei riambientato facilmente?
"Sto bene, mi trovo bene qui. Sono tornato un po’ a casa, si vive bene. Anche se un pezzo di me è rimasto in Italia, qui c’è sempre il caldo, la gente è più felice. Certo, come ovunque, ci sono aspetti positivi e negativi".

Bologna e la Genova blucerchiata sono state le esperienze più importanti della tua carriera...
"Quasi cinque stagioni con entrambe. Con tutte e due siamo riusciti a tornare in Serie A dalla B, ed è stato meraviglioso. Sono squadre storiche, far parte della loro rinascita è stato un onore".
Col Bologna nel 2015 avete eliminato nella semifinale play-off proprio l'Avellino...
"Sì (ride, ndr), abbiamo eliminato l’Avellino e poi il Pescara in finale. Con la Samp invece giocammo la finale contro il Varese. Sono state emozioni grandissime".

Hai avuto Sinisa Mihajlović sia a Genova che a Bologna. Che allenatore è stato?
"Una persona con una grinta incredibile, una fame di vittoria fuori dal comune. Alla Sampdoriaè arrivato in un momento complicato e ci ha trasmesso la voglia di non mollare mai. La sua mentalità vincente l’ha portata anche a Bologna. Ti spronava sempre a dare il massimo".
E fuori dal campo?
"Era una persona dalla forte personalità. Se facevi tutto ciò che voleva, ti dava tutto. Ma se non lavoravi come pretendeva, si arrabbiava tanto. Ricordo quando perdemmo una sfida contro l'Atalanta, 3-0 a Bergamo: tutta la settimana dopo fu solo lavoro fisico e video della partita… una lezione dura. Ma umanamente, aveva un cuore grande".

Oltre a Mihajlović, ci sono stati altri allenatori che ti hanno lasciato qualcosa di speciale?
"A me ha colpito tanto Giuseppe Iachini, alla Samp, per la passione che metteva nel lavoro. A Bologna ho avuto piacere a lavorare con Filippo Inzaghi, mi è dispiaciuto tanto che non ha avuto i risultati sperati. Sono contento per la promozione col Pisa, metteva sempre un entusiasmo pazzesco nel proprio lavoro. E poi Donadoni, una persona educata, rispettosa, che sapeva come tirare fuori il massimo da ognuno".
A proposito di compagni di squadra, che rapporto avevi con i tuoi colleghi portieri?
"Ho fatto spesso il secondo portiere, ma sempre con grande rispetto. Alla Samp c’erano Sergio Romero, portiere della Nazionale argentina, e poi Viviano: entrambi bravissimi e grandi professionisti. Vivio aveva un carattere tosto, ma si è sempre comportato bene con tutti. A Bologna ho avuto un rapporto bellissimo con Antonio Mirante, da cui ho imparato molto. E sono contento per Skorupski e Ravaglia, che erano già lì quando c’ero io: merito anche del lavoro di Luca Bucci, fondamentale nella crescita di questi ragazzi".
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E gli attaccanti più forti contro i quali ti sei scontrato?
"Alla Samp ho avuto compagni come Icardi, Éder, e anche Cassano: fortissimi. Ogni allenamento era uno show. A Bologna mi divertivo con Orsolini, un ragazzo d’oro e oggi un giocatore determinante".
Qual è, invece, la parata o la partita che difficilmente dimentichi quando ripensi alla tua carriera?
"Quella contro il Sassuolo nei playoff con la Sampdoria: parai un rigore sotto la curva. Un momento che porto ancora nel cuore. In generale le finali dei playoff, il fischio finale che sancisce la promozione in Serie A, è qualcosa che non dimentichi mai. Non abbiamo mai raggiunto l’Europa, ma quelle emozioni valgono tantissimo".

Marassi viene ribattezzato da molti come uno degli stadi più belli in Italia: cosa ha significato per te giocare in un impianto del genere?
"Un’esperienza unica. Quando sono arrivato lì per la prima volta, con l’Ancona in Serie B, sembrava di essere dentro un vulcano. I tifosi sono caldissimi. Non riesci neanche a parlare con il difensore a pochi metri. E poi in Serie B tutti volevano battere la Sampdoria: era sempre la partita della vita per gli avversari".
Non è stata una stagione semplice per la Sampdoria. In due anni dalla Serie A alla Serie C, anche se per il momento il verdetto finale è sospeso. Cosa manca a questa squadra?
"Secondo me è mancata continuità e l’identità forte. Mancano figure che conoscano la maglia, come Angelo Palombo, Gastaldello, gente che ti spiegava cosa significava essere della Samp. Quella mentalità è fondamentale. Mi ha fatto piacere rivedere Attilio Lombardo: servono persone così, ma sono arrivate troppo tardi. I cambi devono avvenire prima, altrimenti non riesci più a raddrizzare la stagione. Anche nel mio primo anno retrocedemmo perché le decisioni furono prese troppo tardi".

Dal momento difficile della Samp passiamo alla gioia del Bologna. Che emozione hai provato nel vederli vincere la Coppa Italia?
"È stato meraviglioso. Quando parlavamo anni fa del progetto, si diceva: "calma, stiamo costruendo". E così è stato. In dieci anni hanno costruito una struttura solida, dai centri sportivi all’ambiente. E poi c’è gente come Marco Di Vaio, che incarna l’identità del Bologna. Il segreto è il gruppo. Oggi il giocatore più importante non è un singolo: è il Bologna. Tutti quelli che arrivano fanno bene. Perché trovano un ambiente sano, con una mentalità chiara: lavorare, crescere, dare tutto. È così che arrivano i risultati.

Qualche settimana fa è arrivata la notizia che Ancelotti sarà il nuovo allenatore del Brasile. Tu che vivi lì, com'è stata accolta?
Da brasiliano, e parlando anche con tanti amici e colleghi nel mondo del calcio, siamo davvero contenti. La Nazionale non era gestita bene e c’era bisogno di una figura con personalità, capace di fare scelte forti. Tutti qui credono che Ancelotti, con la sua esperienza, saprà selezionare i giocatori giusti, posizionarli nel modo corretto, e non convocare qualcuno solo perché sta attraversando un buon momento".
Cosa può dare Ancelotti? C’è davvero la possibilità di tornare a lottare per la Coppa del Mondo?
"La Nazionale è una squadra, non una raccolta di individualità. Servono i giocatori adatti, anche quelli meno noti, ma che si inseriscono nel sistema di gioco. Questo è mancato negli ultimi anni".

Casemiro ha detto che è un grande allenatore, ma sarebbe dovuto arrivare prima, magari con un progetto a lungo termine. Tu come la vedi?
"Io credo sempre nei progetti a lungo termine, non credo nei miracoli. Le squadre hanno bisogno di basi solide. Puoi fare l’esempio della Sampdoria paragonandola al Bologna: la Samp è arrivata a giocare in Europa League, ma se non hai fondamenta, torni indietro. È più importante costruire la base per poter andare avanti. La nazionale brasiliana avrebbe avuto bisogno di tempo per lavorare, perché i miracoli non accadono da un giorno all’altro".

Come viene vista l’idea di affidare la nazionale brasiliana a un allenatore straniero? C’è stata qualche polemica a riguardo?
"Sì, qualcuno la pensa ancora così, che tutto debba restare "in casa", ma chi la pensa così è rimasto un po’ indietro. Oggi in Serie A brasiliana ci sono dieci allenatori brasiliani e dieci stranieri, molti dei quali portoghesi. E stanno facendo bene. Questo dimostra che il calcio brasiliano deve evolversi. Le altre nazioni si sono evolute molto nel modo di giocare, comportarsi e allenarsi. Noi, purtroppo, siamo rimasti un po’ indietro.
Questo spiega perchè il Brasile non vince un Mondiale da diverso tempo. È una questione di mentalità e metodo. Per questo credo che Ancelotti possa portare un cambiamento importante nei prossimi mesi. Può davvero segnare un nuovo inizio per questa generazione di calciatori brasiliani".
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