DDD
I migliori video scelti dal nostro canale

ddd

Istanbul, Vikash Dhorasoo racconta tutti i particolari: “Costacurta prima sfotteva e poi era preoccupato”

ISTANBUL, TURKEY - MAY 25:  The electronic scoreboard indicates Liverpool's amazing comeback during the European Champions League final between Liverpool and AC Milan on May 25, 2005 at the Ataturk Olympic Stadium in Istanbul, Turkey.   (Photo by Clive Brunskill/Getty Images)

Il ricordo pre e post Istanbul nell’autobiografia di Vikash Dhorasoo

Davide Capano

Maggio è il mese in cui si vivono la maggior parte dell’arco costituzionale delle emozioni per i tifosi. Come dimenticare Milan-Liverpool del 25 maggio 2005? Di certo non la dimentica nemmeno Vikash Dhorasoo, ex centrocampista rossonero e oggi politico francese, che svela tanti retroscena sulla trasferta turca nell’autobiografia “Con il piede giusto”.

“È la sera della finale di Champions League del 2005, a Istanbul – si legge nel testo –. La partita è finita e attraverso la zona mista. Non ho giocato. Ovviamente nessuno mi ferma, tranne Vincent Duluc, il giornalista dell’Équipe. Gli ho promesso la mia maglia per il figlio. Ogni promessa è debito. Salgo sul pullman del Milan, per dirigerci all’hotel. Ho una seconda maglia personalizzata per l’occasione. Poso sulla sedia il mio borsone del Milan con la maglia all’interno. Mangiamo in silenzio. L’atmosfera è plumbea. Tutta la squadra è scossa. Risalgo in camera e apro il borsone, per prepararmi alla partenza del giorno dopo. La maglia della finale di Champions League con i colori del Milan e Dhorasoo stampato sulla schiena non c’è più. Me l’hanno rubata. Scendo, la cerco, chiedo. Nessuno l’ha vista. Ecco, la mia maglia è scomparsa. Sono disgustato”.

Poi continua: “Berlusconi, il presidente del club e del Consiglio italiano, ha passato i tre giorni di ritiro con noi. Politicamente, una vittoria gli farebbe comodo. Due giorni prima della finale prende la parola. Un discorso rilassato, perché sapeva che gli equilibri erano fragili. Come sua abitudine, tira fuori un aneddoto divertente. Abbiamo riso e poi se n’è andato. Il Milan che disputa una finale è una manna per il presidente. Primo minuto di gioco. Paolo segna. Me lo sento: se vinciamo, conquisterà il Pallone d’Oro. Poi due volte Crespo. Si avvicina l’intervallo e Billy Costacurta, che parla correntemente francese, prende in giro i tifosi dell’Inter: ‘Pensi che gli interisti siano andati a dormire?’. Sfotte, Billy. Siamo milanisti. L’arbitro fischia la fine del primo tempo ed eccoci nel tunnel. Arrivo nello spogliatoio della mia squadra, il grande Milan. Calma e follia assieme. Cazzo, siamo sopra 3-0 in finale di Champions League contro il Liverpool. Siamo campioni d’Europa. Basta resistere quarantacinque minuti. Cosa sono quarantacinque minuti, nella vita di un calciatore? Crespo si gode i due gol appena segnati. Cafu passa per andare in bagno con la sua leggendaria flemma. L’atmosfera è distesa ma seria, perché sappiamo che nel calcio non è mai finita, e Ancelotti ce lo ricorderà. Lo spogliatoio è grande e pieno. L’allenatore parla. Il suo discorso è chiaro e preciso. ‘Dall’altra parte ci sono quelli del Liverpool, che non camminano mai soli, e dobbiamo farci trovare pronti. Sono dei matti…’. Uscendo dagli spogliatoi, curiosamente, nel tunnel, Billy mi dice, questa volta in italiano e con una voce grave: ‘Se Sheva non segna, non vinciamo’. Ho avuto l’impressione che stesse succedendo qualcosa di strano, ma eravamo sopra 3-0 e ovviamente non ci ho fatto caso. Il clima era cambiato. Il cielo si stava offuscando e il fulmine ci stava per colpire.Ecco, eravamo stati messi in guardia. Non abbastanza. Ancelotti mi ha chiesto di andarmi a scaldare. Ero felice. Avrei giocato in una finale di Champions League, io, il ragazzo di Caucri. Ma è successo tutto molto in fretta, troppo in fretta. Bum, bum, bum. Tra il cinquantaseiesimo e il sessantunesimo, ossia in cinque minuti, abbiamo incassato tre reti. Ancelotti mi ha richiamato in panchina perché il copione della partita era appena cambiato. 3-3. Dudek compie una doppia parata su Sheva. La gara si è fermata. Niente più rischi, le due squadre aspettavano i rigori. Il finale migliore per quel match leggendario”.

Dhorasoo svela il clima nello spogliatoio milanista: “Abbiamo perso. Paolo Maldini ha ricevuto con un grande sorriso il trofeo che lo premiava per il suo fair play. Siamo rientrati negli spogliatoi. C’era un silenzio di piombo. Accanto a me, avevo dei campioni straordinari distrutti. Ero triste. Sebbene non fossi entrato in campo, ero sconvolto. Crespo, autore di una doppietta, era in lacrime. Il Milan, campione? Non capivano ciò che gli stava accadendo. Come si può perdere un incontro se all’intervallo sei avanti per 3-0? Ebbene, nel calcio è possibile, ed è un’assoluta follia. Quando Galliani, l’amministratore delegato del club, è entrato nello spogliatoio, ho visto un uomo colpito. Galliani è italiano. Gli piace essere chiamato‘dottore’. Gli piace avere l’autista. Allora, quando è entrato, ho avuto paura. In un silenzio di tomba, ha preso la parola: ‘Il Milan è una grande società e sarà sempre una grande società’. Sì, il Milan è un grande club! Il dottor Galliani si è rivolto a tutti per dir loro che il Milan è un grande club perché è composto da grandi campioni. Il Milan sa perdere, sa come riprendersi e lo farà. Che classe. Ero commosso, ero fiero, ero un giocatore di quel grande club. E in quel preciso istante, non desideravo più aver vinto, perché non avrei vissuto quel momento incredibile.Sì, nella sua storia il Milan ha perso tanto quanto ha vinto, ed è grazie alla sua storia che è un grande club. Avevo appena vissuto il momento più intenso della mia vita sportiva, ed era una sconfitta. Strano, ma così vero. Quella squadra vecchiotta vincerà due anni dopo contro lo stesso avversario grazie a una doppietta di Pippo Inzaghi. Il Milan si è ripreso e si riprenderà sempre”.

L’ottavo capitolo prosegue con la descrizione del post-gara: “La notte è stata molto dura e il risveglio faticoso. Siamo saliti sull’aereo con gli occhi gonfi, alla volta di Malpensa. Abbiamo fallito. Avremmo dovuto essere accolti da eroi ma la curva, come tutti i tifosi, ha la memoria corta. ‘Vergogna. Vergogna’ gridano alcuni pessimi supporter. Dovremmo vergognarci. Vergognarci per essere stati in vantaggio 3-0, per esserci fatti rimontare e aver perso. La loro collera non ci risparmia. Paolo Maldini, stanco, sfinito, prende i due figli e si dirige verso un gruppo di sostenitori particolarmente aggressivi. ‘Ma vergogna cosa, avete perso la memoria?’. Li ha guardati dritti negli occhi. ‘Vi siete già dimenticati che solo due anni fa eravamo campioni d’Europa e che siamo campioni d’Italia in carica? Banda di ingrati. Vi siete dimenticati che siamo il Milan?’. I tifosi si sono scusati. Io, le finali che gioco le vinco. Ho perso le due finali più importanti della mia carriera perché non le ho giocate. È ciò che credo, e mi rassicura. Errore nelle scelte dell’allenatore, o errore e basta. In ogni caso, quando gioco vinco. Perdere significa perdere e nient’altro, in realtà. E anche se tutte le sconfitte si somigliano, beh, in realtà sono diverse. Se potessi tornare indietro, non scambierei quella sconfitta contro il Liverpool con una vittoria. Ho vissuto un momento che non avrei vissuto in caso di successo.Invece, se potessi tornare indietro, mi piacerebbe molto diventare campione del mondo. Raymond, io le finali che gioco le vinco! E poi, a dirla tutta, sulla mia pagina di Wikipedia avrebbe spaccato!”.

Potresti esserti perso