EDITORIALE

Giovanni Sartori non vende sogni ma solide realtà

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Visionario, metodico, invisibile: Sartori ha costruito imperi calcistici senza mai cercare la ribalta. Oggi l'Europa lo ammira, ma lui continua a lavorare nell'ombra: lì dove nascono i miracoli.
Nancy Gonzalez Ruiz
Nancy Gonzalez Ruiz

Nel rumoroso e luccicoso palcoscenico del calcio italiano c’è un uomo che ha scelto deliberatamente di rimanere nell’ombra. Non per timidezza, né per falsa modestia, ma per filosofia. Giovanni Sartori è l’antitesi del direttore sportivo da copertina: nessun social, poche interviste, nessun vezzo. Eppure, è proprio lui l’architetto silenzioso di alcune delle imprese più straordinarie degli ultimi trent’anni. Dove passa Sartori, qualcosa si accende. Piccole realtà si fanno solide, strutturate, competitive. Nessun colpo di fortuna, ma un metodo che unisce conoscenza profonda del calcio, visione lucida del futuro e un’arte ormai rara: il saper leggere l’uomo, prima ancora del calciatore.

Chievo: l’origine di un metodo

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È il 1987. Giovanni Sartori arriva in un Chievo che galleggia nei bassifondi della Serie C2. All’inizio è un collaboratore tecnico, ma presto assume un ruolo dirigenziale dopo la scomparsa del presidente Luigi Campedelli. È da quel momento che inizia un’opera lunga, paziente, quasi artigianale. Sartori costruisce il Chievo come si costruisce una casa destinata a durare nel tempo: fondamenta solide, investimenti oculati e una visione chiara. Il Chievo non ha risorse, pubblico né appeal, ma ha una dirigenza che sa dove guardare. Sartori pesca nei campionati minori italiani, in quelli esteri poco esplorati, cercando profili affamati, funzionali, adatti a un sistema di gioco ordinato, concreto, efficace. Arrivano giocatori come Eriberto (poi diventato Luciano), Manfredini, Corradi, Barone, Perrotta. Tutti valorizzati, tutti rivenduti con plusvalenze. Il Chievo, sotto la guida di Delneri, raggiunge nel 2001 la Serie A. E nel 2005 accade l’inimmaginabile: la qualificazione ai preliminari di Champions League, anche grazie al coinvolgimento nell’inchiesta Calciopoli, che penalizza alcune concorrenti. Ma quella qualificazione non è accidentale: è l’esito naturale di un lavoro silenzioso, fatto di intuizioni e scelte controcorrente. Il Chievo diventa per anni un modello: sostenibilità economica, scouting avanzato, spirito competitivo. E al centro di tutto, Sartori, l’uomo che non si fa vedere, ma che muove ogni ingranaggio.

Dalla sopravvivenza all’élite

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Dopo quasi trent’anni, nel 2014, Sartori lascia Verona. A chiamarlo è l’Atalanta di Antonio Percassi, club ambizioso ma ancorato alla salvezza tranquilla. Il contesto è diverso, ma la sfida affascina: portare a compimento un progetto tecnico ambizioso, fondato su sostenibilità e qualità. Sartori non perde tempo: arrivano Gomez dal Metalist, Kessie dall’Atletico Abidjan, Toloi dal San Paolo, e poi la straordinaria infornata olandese-tedesca con Hateboer, Gosens e Freuler. Ogni nome viene scelto per caratteristiche tecniche e psicologiche. L’Atalanta cambia pelle con l’arrivo di Gasperini nel 2016, e Sartori diventa l’interprete perfetto delle esigenze del tecnico. Non un rapporto privo di tensioni. Le idee sono diverse, a volte contrapposte. Ma il rispetto reciproco e la chiarezza degli obiettivi portano a una sinergia produttiva. Sartori fornisce la materia prima, Gasperini la plasma. E il risultato è la miglior Atalanta della storia: terzi posti in Serie A, quarti di finale in Champions, una credibilità europea inattesa. L’Atalanta diventa spettacolo e sostanza, e dietro quella trasformazione c'è, ancora una volta, la regia silenziosa ma decisiva di Giovanni Sartori.

La rinascita del Bologna

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Nel 2022, il Bologna si trova in un limbo, bloccata tra la zona salvezza e l’anonimato. La proprietà cerca un profilo capace di dare forma e senso a un nuovo ciclo. La scelta cade su Sartori, che accetta con l’entusiasmo di chi ama i cantieri, non le case già arredate. Una delle prime decisioni è l’arrivo di Thiago Motta. Il tecnico, giovane e ambizioso, ha idee chiare ma ha bisogno di una dirigenza che lo protegga e lo assecondi. Sartori lo fa senza tentennamenti. Costruisce la rosa con coerenza e intelligenza: Joshua Zirkzee, Lewis Ferguson, Remo Freuler, Riccardo Calafiori. Nessun nome da copertina, ma tutti funzionali al sistema. Il Bologna cresce, gioca un calcio riconoscibile, europeo, moderno. La città si infiamma. I risultati arrivano, e la qualificazione alla Champions League nella stagione 2024–2025 è il culmine di un progetto costruito con precisione, competenza, visione. Ma Sartori non si ferma. Già prepara il futuro: Castro, Dominguez, Ndoye. Giocatori giovani, già inseriti in un contesto definito, pronti per il salto. Non più una sorpresa, ma un'altra realtà consolidata: il Bologna.

L’uomo prima del calciatore

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Sartori lavora ancora come trent’anni fa. Non ha WhatsApp, guarda oltre 200 partite l’anno dal vivo, predilige il confronto diretto con gli agenti, conosce le famiglie dei calciatori. Rifiuta l’idea che un algoritmo possa sostituire l’occhio umano. La sua è una fede laica nel dettaglio, nel contatto, nel campo. La perfetta applicazione del principio aristotelico di atto e potenza: scorge nei giocatori ciò che potrebbero diventare, non ciò che sono; vede il divenire prima dell’essere. E a quel divenire dà forma, lo accompagna, lo fa esplodere nel contesto giusto. Non crea dal nulla, ma porta alla luce ciò che già esiste in potenza. Così facendo ha chiuso oltre mille trattative, costruito almeno tre cicli vincenti, e continua a farlo senza alzare la voce. Ormai oggetto del desiderio di grandi club: Juventus, Milan, Roma hanno sondato il terreno. Ma Sartori non è attratto dal potere perchè vuole controllo, fiducia, tempo: condizioni che pochi possono garantire. Sartori è sostanza. Dove gli altri comunicano, lui costruisce. Dove gli altri vendono idee, lui crea realtà. Il suo è un percorso che dimostra come il calcio si possa fare con metodo, visione e silenzio. E forse è proprio questo il suo più grande dogma: i cambiamenti, così nel calcio come nella vita, possono avvenire anche senza fare rumore.