VERONA-JUVENTUS 2-2

Juventus, alla memoria…

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Se l’Inter gioca a memoria, la Juventus gioca «alla memoria». L’eredità di Allegri (e non solo) si annuncia scabrosa. Dimenticavo: zero ammoniti. E occhio al quinto posto, sul serio.
Redazione Derby Derby Derby

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

L'Inter è di un altro pianeta, il Napoli è imploso (tranne uno: Kvara, eroico) e la Juventus? Scomparsa il 27 gennaio. Da quel sabato: 1-1 con l’Empoli, 0-1 con la capolista, 0-1 con l’Udinese, 2-2 al Bentegodi. Per la cronaca, e per la storia: due punti tra Empoli, Udinese e Verona. La coda, non la crème.

Repetita iuvant, ci insegnavano a scuola: a patto di non annoiare gli astanti: o di indisporre i tutori

Lo spogliatoio non sarà tranquillo, ma neppure così acerbo come millanta Allegri, o così paralizzato dal famigerato rosso a Milik come suggeriscono le talpe. Le capriole economiche del padrone avevano costretto il Verona a un mercato invernale d’emergenza. Costretto a ridisegnarlo, Baroni ha riposto le torri per liberare la velocità e l’aggressività. Punte mobili, il sinistro di Suslov, re del metro quadro, e quel gran gol di Folorunsho a spaccare l’equilibrio: smash al volo di sinistro, dal limite, senza se e senza ma. Splendido. Chapeau. Madama è fuori dall’Europa e dunque sarebbe lecito aspettarsi approcci e cadenze in grado di giustificare l’ozio settimanale. Se glielo impongono, la Juventus attacca. Ma con idee scarne e zero lanciatori. Una scorza di Cambiaso, due chicchi di Yildiz e, paradossalmente, un atteggiamento degli avversari così coraggioso da offrire domande di riserva (traduzione: contropiedi) a concorrenti che non hanno mai fatto del «giuoco» una bandiera.

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Il rigore di Vlahovic, propiziato da una sbracciata di Tchatchoua su tiro di Kostic, recapitava alla Vecchia un pareggio per il quale, sin lì, pochi postini avevano suonato. Nella ripresa, Verona ancora a petto in fuori, come ribadito dall’azione del raddoppio di Noslin. Il mancino di Rabiot sembrava spalancare chissà quali scenari. Stavolta, se non altro, i cambi non peggioravano il casino. E nemmeno la zattera del 4-3-3 (guarda guarda…). Al’ex Sandro a parte. Alcaraz, finalmente: un lumino che, in un buio così pesto, pareva un lampadario. E Chiesa: un paio di occasioni (la seconda, murata da Montipò). E Vlahovic, al rientro? Sostituito da Milik, non prima di essersi mangiato, di testa, una rete probabile. L’Hellas ci ha dato dentro sino alla fine. Con Henry, con il cuore, con riserve non altezza di Folorunsho. L’ordalia, vibrante, ha confuso spesso il blasone dei duellanti. Chi il Verona e chi la Signora?

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