Tre scudetti. Tre città. Tre rivoluzioni. Antonio Conte entra nella leggenda del calcio italiano senza bussare. Spalanca la porta della storia a modo suo: con lo sguardo di chi ha la fame negli occhi e ha visto la fatica, la sofferenza, la gloria. Nessun altro, in Italia, ha mai vinto il campionato con tre squadre diverse. Lui sì. E lo ha fatto da protagonista assoluto, da uomo solo al comando, da ossessione che si fa metodo, da leader che plasma e redime. Alla sua sesta stagione completa in Serie A si laurea Campione d'Italia per la quinta volta. Solo nella stagione 2019-2020, alla guida dell'Inter, è arrivato secondo. Riesce difficile credere che sia soltanto una coincidenza il fatto che la sua primogenita si chiami Vittoria, come la dea Nike, alata e inarrestabile.
Napoli Campione d'Italia
Again, “Vincere è l’unica cosa che Conte”: Napoli torna Campione

Quando arriva a Napoli, la città è ferita. La stagione precedente aveva regalato l’estasi con Spalletti, ma l’incanto si era dissolto troppo in fretta. La gestione tripla – Garcia, Mazzarri, Calzona – aveva distrutto la bellezza, frantumato la fiducia. Il decimo posto finale rappresentava non solo un risultato, bensì un vuoto emotivo, un tradimento collettivo. Ma Conte non si perde in parole: "Amma Faticà".Ricompatta, riallinea, ricuce. Ricostruisce lo spogliatoio come un artigiano della psicologia. Mette i cocci uno sull’altro, come fossero tessere di un mosaico antico, e ridà senso a ciò che sembrava perduto.

A cominciare dal capitano, Giovanni Di Lorenzo, sul punto di dire addio, consumato da dubbi e silenzi. E invece eccolo lì, sotto il cielo del Maradona, ad alzare il quarto scudetto della storia partenopea. È il secondo della sua carriera, come solo il DIEZ prima di lui; ora il suo nome è inciso nel marmo della storia azzurra, non più solo leader, ma icona eterna.
E poi ci sono gli uomini di Conte, quelli che sembrano arrivati dal nulla e invece si rivelano architravi di una rivoluzione. Scott McTominay, il migliore della Serie A, senza rivali. Gol, assist, forza, equilibrio. Ha i piedi educati e il cuore guerriero. Ricorda Marchisio per eleganza, Vidal per rabbia agonistica, un mix perfetto forgiato proprio da Conte nella sua prima Juve. E poi Romelu Lukaku, non un goleador da cineteca, ma un gigante con l’anima, come lo fu Vučinić, con le dovute differenze, sempre in quella Juve che Conte scolpì a sua immagine: imperfetta, ma invincibile.

Perché se uno lo fa una volta, può ripetersi. Again, parafrasando l'inedito pubblicato postumo di Pino Daniele. Un brano visionario che sembrerebbe essere stato scritto per questa Napoli, per questo popolo che ha vissuto un amore troppo intenso per poterlo dimenticare. In quelle sere d’estate, mentre la città arrancava tra malinconia e rabbia, tra illusioni svanite e bandiere ammainate, Conte ha riportato la luce. Ha trasformato il dolore in risorsa, ha convinto la squadra che nulla è impossibile per chi ci crede davvero. E ci ha creduto. Di nuovo. Con tutta sé stessa.
Partenope ha ricominciato a vivere. Ha ripreso a camminare, a gridare, a respirare. La settimana più lunga della stagione sembrava infinita, ma al triplice fischio è arrivata la liberazione. Napoli ha abbattuto il suo personale muro di Berlino, non con la politica o con la rabbia, ma con il lavoro. Con il sacrificio. Con il cuore. Valori che Conte ha instillato in ogni singolo giocatore. Come un mantra, come un rosario laico da recitare ad ogni allenamento.

E ora che torneranno queste sere d’estate, Napoli le accoglierà con un’emozione nuova. Ci sarà nostalgia, sì. Ma anche orgoglio. Mancherà quell’amore che si prova solo quando si rincorre, quando si sogna, e la città non vedrà l’ora che arrivi agosto per provare a difenderlo questa volta, lo scudetto. On the road again.
Con la stessa fame, con la stessa voglia, con la consapevolezza che vincere non è importante, è l’unica cosa che conta.È l’unica cosa che Conte sa fare. E adesso, anche Napoli lo sa.
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