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Intervistato in una diretta Instagram da footballstation.it, l’ex bomber del Cagliari Robert Acquafresca ha ripercorso alcuni momenti della carriera, soffermandosi maggiormente sull’esperienza in terra sarda.
“La Sardegna ti entra dentro per com’è – rivela –, per la sua bellezza. Non è solo il mare, l’estate: c’è un clima che ti fa stare bene tutto l’anno, anche l’inverno. È una regione meravigliosa. Una volta che si aprono, i sardi diventano persone stupende”.
Poi confida: “Arrivo a Cagliari e il nove è libero, il numero della prima punta. In quegli anni, però, il valore del nove era reso ancor più significativo dal fatto che lo aveva indossato David Suazo, un’istituzione in Sardegna. Alla fine Matri decide di optare sul 32, sulla scia di Vieri e Brocchi, mentre Larrivey ha preferito andare sul 19. Cosa succede? Diego Lopez si avvicina, dicendomi di non rompere le scatole e di prendermi io quella maglia. Avevo un bel fardello, non dovevo far rimpiangere Suazo. È andata abbastanza bene per fortuna. Lopez è un mio caro amico, un grande uomo. L’ho avuto anche come allenatore”.
L’attaccante nato a Torino ricorda bene la stagione 2008-2009, il rapporto con Massimiliano Allegri, le prime cinque di campionato perse e la svolta proprio coi granata: “Prima di quella partita Allegri rischiava la panchina. Con me c’era stata una sfuriata, da uomini ci siamo detti cosa pensavamo l’uno dell’altro: ero appena tornato dalle Olimpiadi con la Nazionale, lui vedeva in me che qualcosa non andava. Io non giocavo, Max non otteneva punti. Prima della sesta giornata di campionato aveva avuto l’ultimatum da Cellino. Parto dalla panchina, entro nel finale e segno il gol vittoria contro il Torino. Da lì è nato un bel rapporto, ci sentiamo tutt’ora. Il mister è uno dei migliori al mondo, anche all’epoca con noi era eccezionale: aveva sempre la battuta pronta e giusta, anche durante le cene di squadra faceva gruppo. Un gran personaggio”.
Inoltre Robert conferma un simpatico aneddoto su Sant’Efisio (martire cristiano, il cui culto è molto diffuso nel Sud della Sardegna, ndr), in un periodo nel quale non riusciva a segnare e, durante la festività religiosa, un signore in sardo gli disse di toccare la statua del Santo, così si sarebbe sbloccato. La moglie pensava che non avesse capito, ma lui fa una cosa molto carina: “Esattamente. Un signore in sardo mi diede questo consiglio e mia moglie mi spiegò il significato delle sue parole. Io, però, intesi benissimo e, in qualche modo, gli spiegai sempre in sardo di aver capito. Scoppiammo a ridere. Dopo quanto ho imparato a parlare il sardo? Dopo circa tre anni, mia moglie non è una brava insegnante (dice scherzando, ndr), i miei suoceri sono più bravi”.
Infine non può mancare un ritratto di Astori, col quale Acquafresca aveva un un’amicizia profonda: “Davide era un ragazzo pulito e semplice. Oggi giorno si fa fatica a trovare delle persone con i suoi valori.Non aveva strani grilli per la testa, non l’ho mai sentito dire una parolaccia. Abbiamo condiviso tanto insieme, ci siamo conosciuti ai tempi dell’Under. Quando fai parte di una squadra, vuoi o non vuoi, sei costretto a condividere lo spogliatoio con tutti i componenti del gruppo, come è giusto che sia. Fuori dal campo, poi, decidi tu con chi trascorrere il tempo libero, lì non ci sono obblighi. Abbiamo passato dei Capodanni e vacanze insieme.In questo momento ci auguriamo che ci protegga da lassù. Magari fossero tutti un po’ Davide Astori”.
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