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Il Brasile il prossimo giugno ospiterà la 46a edizione della Copa America. La squadra di Tite punta alla vittoria che manca dal 2007 e per farlo vuole spezzare la tradizione: usare la maglia bianca dopo 69 anni. Fino al 1950 la maglia della Selecao era bianca, ma il “Maracanazo” portò al suo cambio per il verde oro

di Simone Balocco – Dal 14 giugno al prossimo 7 luglio, il Brasile ospiterà la XLVI edizione della Copa America, la manifestazione che sancirà quale sarà la squadra più forte del sub-continente americano. Detentrice della coppa, il Cile....

Redazione Derby Derby Derby

di Simone Balocco -

Dal 14 giugno al prossimo 7 luglio, il Brasile ospiterà la XLVI edizione della Copa America, la manifestazione che sancirà quale sarà la squadra più forte del sub-continente americano. Detentrice della coppa, il Cile. Mercoledì scorso la Federcalcio brasiliana ha presentato per l'occasione la maglia che Neymar e soci indosseranno come seconda maglia per scendere in campo e cercare di riportare il trofeo in patria dopo dodici anni. Modello, il talento millennials del Real Madrid, Vinicius Jr: niente blu, ma un colore neutro, il bianco.

Motivo? Una scelta storica: quest'anno ricorrono i cento anni della prima vittoria della Nazionale brasiliana in Copa America, quella della seconda edizione. A decidere la finale-spareggio del “das Laranjeiras“, il giocatore brasiliano più forte di sempre prima dell'avvento di Pelé, Arthur Friedenreich. Quel Brasile, appunto, aveva la maglia full white.

L'”uomo della strada” può obiettare: perché cambiare la tradizione? Perché passare dal blu al bianco? La notizia del cambio di colore della maglia è epocale, perché era dal 16 luglio 1950 che il Brasile non indossava quei colori. Cosa successe quel giorno? Per chi non lo sapesse, quel giorno cambiò il destino (calcistico) di un intero Paese: fu il giorno del “Maracanazo”. Facciamo un passo indietro a quel Mondiale, giunto alla quarta edizione, la prima dopo la fine della Seconda guerra mondiale, la seconda organizzata in Sud America.

Il Brasile avrebbe ospitato la kermesse e la Nazionale branca partiva con i favori del pronostico per la vittoria finale. Era una squadra ricca di talento ed estro con gente del calibro di Friaça, Zizinho e Ademir. Peccato che sulla sua strada, nell'ultima partita della manifestazione, incontrò l'Uruguay che gli ruppe, come si dice in gergo, le uova nel paniere. La Celeste vinse quella partita e vinse il Mondiale, bissando la vittoria casalinga del 1930.

Quella sconfitta fu durissima da digerire per il Brasile perché mise in ginocchio (calcisticamente e moralmente) un'intera Nazione. Il Brasile si vedeva già vittorioso dopo il gol di Friaça al minuto 47, ma la Nazionale uruguaiana non mollò mai e, caratterizzata dalla tipica garra charrua, prima pareggiò con Schiaffino al 66' e poi, al minuto 79, arrivò ciò che nessuno si auspicava: il gol del vantaggio di Ghiggia.

Il gol dell'attaccante allora in forza al Peñarol (e futuro romanista e milanista) decise la partita e con il triplice fischio la squadra del Ct Costa si mise a piangere per la delusione, tanto da non assistere alla premiazione degli avversari. Ma è ciò che successe sugli spalti e fuori dall'impianto di Rio che colpì l'opinione pubblica: urla, insulti, lacrime, tafferugli e persone che si suicidarono. Anche nei giorni seguenti.

Il calcio era riuscito nell'impresa di diventare ciò che non avrebbe mai voluto essere: diventare un qualcosa di vita o di morte. Anche se da allora il Brasile di Mondiali ne ha vinti cinque e ha perso una volta in finale. La Celeste da allora non solo non ha più il trofeo, ma al massimo è arrivata tre volte quarta.

La sconfitta contro la Celeste fu terribile per tutti tanto che per protesta la Federcalcio decise di estromettere il portiere Barbosa dalla Nazionale e, soprattutto, cambiare maglia: via il bianco e dentro il verde oro, colori che risaltano nella bandiera nazionale. Il colore bianco non è mai stato contemplato neanche come seconda o terza maglia, favorendo sempre il blu, altro colore presente sulla bandiera.

Il Brasile è un Paese dove il calcio è visto come una religione e come tale deve essere onorato: perdendo al “Maracana”, quella squadra aveva mancato di rispetto ad un intero Paese e per lavare l'onta si decise di cambiare i colori della maglia, i colori che (calcisticamente) contraddistinguono un Paese.

Eppure nel Mondiale casalingo del 2014, nonostante la bruttissima sconfitta in semifinale contro la Germania per 7-1, nessuno decise di cambiare il verde oro e nessuno si strappò le vesti per il “Mineirazo” (dal nome dello stadio "Mineirao" di Belo Horizonte). Eppure anche lì la Seleçao partiva con i favori del pronostico nel secondo Mondiale ospitato in casa.

In Brasile siamo sicuri che tanti tifosi, soprattutto quelli meno giovani, hanno mugugnato nel rivedere quei colori che hanno fatto piangere una Nazione intera quasi settant'anni fa. Tutti sperano che Neymar, Thiago Silva, Coutinho e lo stesso Vinicius Jr (nato 50 anni dopo quella tragica partita) possano onorare al meglio la “Copa” e riportarla in patria dopo la vittoria del 2007. Magari usando spesso la maglia branca.

Perché in Brasile sanno già cosa sono un “Maracanazo” e un “Mineirazo”. Non crediamo che vogliano un altro “-azo”.

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