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Il PSV umilia un Napoli fragile, e non da ora: anche Conte si assuma le sue responsabilità

Luca Paesano
Luca Paesano Redattore 
Gli azzurri si illudono con il vantaggio di McTominay, poi viene fuori il PSV che mette a nudo tutte le debolezze di un Napoli che continua a non convincere. Dal gioco all'atteggiamento, allo scaricabarile post-partita: anche Conte è responsabile
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Un'umiliazione. Questo e poco altro basta per commentare l'imbarazzante 6-2 con cui il PSV spazza via il Napoli nella terza serata di Champions League. È uno dei peggiori ko della storia degli azzurri e sicuramente il peggiore della storia più recente. È la sconfitta più scottante della carriera di Antonio Conte, che forse dovrebbe ora assumersi qualche responsabilità in più.

Napoli asfaltato dal PSV

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La prestazione del Napoli in Olanda dura mezz'ora. Senza brillare, senza far paura, senza esser protagonista, con tanti errori e imprecisioni, e accusando anche un po' il dinamismo del PSV. Dall'autogol di Buongiorno, poi, la squadra scompare dal campo. Prende il gol del 3-1 nel momento in cui, ad inizio ripresa, stava provando a rimettere la gara in parità. Subisce tanto, e poi si eclissa definitivamente dopo l'espulsione di Lucca che lascia gli azzurri in dieci uomini.

Da lì in poi, il PSV - squadra interessante, ma nulla di speciale - passeggia senza tregua sulle macerie di un Napoli con la spina già staccata. E alla fine della fiera, agli azzurri va anche bene averne presi soltanto sei, perché sarebbero potuti essere anche di più.

È una disfatta, che forse è una sorpresa soltanto in parte. Qualche campanello d'allarme lo aveva dato già il ko contro il Torino. Ed è un Napoli che dopo un anno si mette a nudo e si scopre fragile.

Il Napoli si scopre fragile nelle sconfitte

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Fragile perché non ha un gioco. Col pallone tra i piedi non sa bene cosa fare, non sembra avere le idee chiare, fatica a creare azioni pericolose, non dà mai la sensazione di fare paura. Non ci sono trame: si muove il pallone sperando di trovare prima o poi qualche spazio vincente, o che qualche cross vada a buon fine. In sintesi, sembra tutto improvvisato. È l'onda lunga di quanto si era già visto lo scorso anno, quando gli azzurri avevano avuto però dalla loro gli episodi e una grande solidità che quest'anno sembra smarrita.

Non si vuole certamente ridurre lo scudetto al caso, ma anche lo scorso anno il Napoli ha palesato - da un punto di vista della proposta di gioco - le stesse difficoltà che sembra scoprire soltanto ora. Creava due o tre occasioni importanti a partita, buttava un pallone in porta e tanto bastava a portare a casa il risultato. Questo però porta a giocare perennemente sul filo del rasoio, perché è chiaro che se il pallone non entra in porta con quel poco che si produce, c'è un problema. Si può sintetizzare così la sconfitta contro il Torino, con una prestazione che non è stata diversa da quella offerta contro il Genoa o contro il Pisa, dove però i palloni sono entrati in porta e hanno cambiato l'esito del racconto.

Un "dominio" inconsistente

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Conte si ritiene soddisfatto della sua squadra e anche dopo il ko dell'Olimpico ha parlato di "dominio". A questo punto, bisognerebbe però interrogarsi sul significato da dare a questo "dominio". Finire la partita con il 70% di possesso palla, non è un dominio se poi non produce nulla di concreto. È soltanto una perdita di tempo. Essere superiori nelle statistiche di fine partita lascia il tempo che trova. Contro il Torino: 69% possesso palla, 22 tiri a 12, 11 corner a 3. Poi, però: expected gol in parità (2.00 a 2.06) e 3 grandi occasioni a 1 per i granata. La sintesi è che in quel poco che ha giocato, il Torino non solo ha trovato il gol, ma è stato anche più pericoloso dei 70 minuti di "dominio" del Napoli.

E succede che se in Serie A ti lasciano anche "dominare", perché ci si chiude in difesa e si attende di poter provare qualche ripartenza - ed ecco che si gonfiano le percentuali di un possesso palla sterile e banale -, in Europa non aspettano. In Champions si va ad altri ritmi, che non sono ad oggi quelli del Napoli.

Tra una proposta di gioco assente e un equivoco tattico

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Quello di Antonio Conte non è mai stato un calcio particolarmente spettacolare, ma le sue squadre sono sempre state aggressive e arrembanti, affamate, cattive. Il Napoli di oggi è moscio, lento, leggibile. A larghi, larghissimi tratti noioso. "La mano di Conte", che lo scorso anno si è vista nella tempra e nell'anima degli azzurri, quest'anno è latente, per non dire assente. Con delle individualità come quelle a disposizione degli azzurri, è lecito aspettarsi anche che il Napoli sia più propositivo.

E per quanto Conte lo continui a negare, c'è un equivoco tattico evidente. I cosiddetti fab-four sono troppo forti per essere esclusi, ma ad oggi la scelta di giocare con i quattro centrocampisti contemporaneamente non sta giovando a nessuno. McTominay da falso esterno è quasi un giocatore perso. De Bruyne da playmaker a 60 metri dalla porta e con una squadra piatta, che gioca in orizzontale e che non dà spazio alla sua inventiva, è un giocatore depotenziato. E oggi, il belga, oggettivamente serve a poco.

In questo Napoli asimmetrico si perde una fascia per attaccare (se non fosse per Spinazzola) e questo appiattisce ulteriormente un gioco già monotono. Inoltre, soprattutto alla luce della prestazione contro il PSV, si perde probabilmente anche un po' di equilibrio in fase difensiva.

Anche Conte è responsabile

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In ultimo, sul banco degli imputati ci è finito anche il mercato. Per Antonio Conte, nove acquisti nell'ultima sessione di mercato sono stati troppi. Acquisti che però sono stati reclamati a gran voce lo scorso gennaio e sono stati fatti di concerto con la società in questa estate. Come Lucca, pagato al prezzo di un top player ma anche ieri sera altamente insufficiente. Come Noa Lang, che è ancora un oggetto misterioso e che ora si scopre anche essere un problema nello spogliatoio. Come Beukema, che non offre ancora neanche lontanamente le stesse garanzie di Rrahmani.

Poi, dire che i tanti cambiamenti possano aver minato le certezze della squadra costruita nella passata stagione ha sicuramente senso. Però, se dopo quasi 200 milioni spesi sul mercato ci si lamenta delle poche soluzioni e si parla di situazioni difficili da gestire, allora probabilmente è stato sbagliato qualcosa. E, a questo punto, ha sicuramente sbagliato qualche valutazione anche Conte, che dovrebbe prendersi la sua fetta di responsabilità: per un gioco che non esiste, per un'identità che manca, per un mercato che non convince.

Tuttavia, se c'è una persona in grado di riprendere questa squadra, questa è proprio Antonio Conte. Il calendario non concede tregue e bisogna subito ripartire. Sabato al Maradona arriva l'Inter, che tutti avevano dato per morta a inizio stagione e che invece resta sempre la solita. È tempo di rimettersi l'elmetto per tornare a combattere.