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LE MANI AVANTI DELL'ARBITRO

Derby del Rio de la Plata: il belga Langenus nel 1930, “Non arbitro senza una nave pronta per farmi scappare”

Mondiali 1930, per arbitrare la finale l'arbitro ha chiesto: un’assicurazione sulla vita a favore della propria famiglia, l’assistenza di cento poliziotti e una nave pronta a salpare per l’Europa nel caso ci fosse bisogno di scappare

Redazione DDD

di Luigi Furini -

Le squadre che scendono in campo con il tradizionale 2-3-5 (due difensori, tre a centrocampo, cinque attaccanti), l’arbitro che chiede un’assicurazione sulla vita prima del fischio d’inizio. La coppa messa al sicuro nella cassaforte di una nave. Tutto vero. Siamo nel 1930 e la Fifa organizza il primo campionato mondiale per nazioni. Si candidano in tanti, in Europa e in Sudamerica. Si decide di giocare in Uruguay, campione olimpico di calcio nel 1924 e nel ’28, anche perché nel 1930 il Paese festeggia i cento anni di indipendenza (per questo si costruisce lo stadio del Centenario). Vi partecipano Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Messico, Paraguay, Perù, Stati Uniti, Belgio, Francia, Romania e Jugoslavia. E l’Italia? Niente e senza dare spiegazioni, salvo le polemiche sull’utilizzo degli oriundi, cioè dei calciatori uruguaiani o argentini, ma figli di italiani, che vengono ingaggiati da squadre italiane e poi utilizzati anche in maglia azzurra.

L'arbitro Langenus

L'arbitro Langenus

Invece, tante altre nazioni non partecipano per una questione di soldi. Troppo costoso il viaggio e poi bisogna garantire ai calciatori il posto di lavoro, una volta tornati a casa (era prevista un’assenza di circa 60 giorni). La Romania parte da Genova sul piroscafo “Conte verde”. Sulla stessa nave si imbarcano, a Barcellona, belgi e francesi e il conte Jules Rimet, presidente della Fifa. Nella sua borsa, la coppa tutta d’oro (che poi prenderà il suo nome), dal peso di un chilo e 800 grammi, che viene messa in cassaforte. Ci si allena sul ponte della nave, ma i palloni finiscono in acqua. E allora si gioca a ping pong e si fanno bagni in piscina. E’ luglio e nell’emisfero sud è inverno. A Montevideo nevica. In Argentina-Messico viene fischiato il primo rigore della storia dei mondiali. L’arbitro è il boliviano Ulises Saucedo, che è anche il Ct della Bolivia.

Arrivano in finale Uruguay e Argentina. Circa 15 mila tifosi dell’albiceleste attraversano il Mar del Plata per assistere alla partita. Vengono perquisiti e saltano fuori coltelli e revolver. Qualcuno arriva allo stadio quando la gara è già cominciata. Fischia il belga John Langenus (un altro della comitiva del “Conte Verde”) ma la tensione è alle stelle e lui, prima di andare in campo, pone tre condizioni: un’assicurazione sulla vita a favore della propria famiglia, l’assistenza di cento poliziotti e una nave pronta a salpare per l’Europa nel caso ci fosse bisogno di scappare. L’Argentina si presenta senza il giocatore più forte, Peregrino Anselmo, preso da un attacco di panico. Viene sostituito da Castro, forte centravanti privo della mano destra (persa in un incidente sul lavoro quando aveva 13 anni). Vince l’Uruguay per 4-2. L’Argentina è accusata di aver attaccato in massa, senza curare la fase difensiva. Il piroscafo riparte per l’Europa. Il viaggio dura 15 giorni. Fra gli altri passeggeri c’è un famoso tenore, gli viene chiesto di cantare. Si rifiuta. “Io non canto gratis”, dice. Ma a quel tempo, soldi non ce n’era. Per nessuno.

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