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SAN SIRO: QUANDO ARRIVARONO I RIFLETTORI

Il derby della bolletta anni ’50: l’Inter non voleva pagare la luce di San Siro, il Milan recupera le spese a rate

MILAN, ITALY -  APRIL 12:  Flares rain down onto the pitch from Inter Milan fans during the UEFA Champions League quarter-final second leg betweenInter  Milan and AC Milan at the San Siro Stadium on April 12, 2005 in Milan, Italy. (Photo by Mike Hewitt/Getty Images)

Da Piero Pirelli al Comune, i primi anni di San Siro in perifera, nel comune di Lampugnano poi inglobato in Milano...

Redazione DDD

di Luigi Furini -

Pietro Pirelli, presidente del Milan, torna dalla prima guerra mondiale (era ufficiale di cavalleria) e va in America a studiare i cavi elettrici. Però, nel tempo libero (poco) ha in testa un’idea fissa. Costruire uno stadio per il suo Milan. Ne parla in casa e poi decide: chiama un ingegnere, un architetto e mette sul piatto 5 milioni di lire (devono bastare). I lavori per il nuovo stadio di San Siro cominciano nel’agosto 1925 e finiscono nel settembre 1926. Si decide di inaugurarlo con un derby: vince l’Inter 6-3, anche se il primo giocatore a segnare è il milanista Giuseppe Santagostino (detto Pin), dopo soli 11 minuti. Lo stadio, molto diverso dall’aspetto attuale, è fatto di quattro tribune, ai lati del rettangolo di gioco (non ci sono le curve) e contiene 35 mila spettatori. Sotto la tribuna centrale (l’unica coperta) ci sono gli spogliatoi, una sala per l’arbitro, un ristorante, una palestra, l’appartamento per l’allenatore del Milan (allora l’inglese Burgess) e, da non credere, anche una stalla e un fienile, per i cavalli del vicino ippodromo.

(Photo by Keystone/Hulton Archive/Getty Images)

La gente, i tifosi, prendono la cosa con distacco. “Troppo lontano dal centro”, dicono. In effetti San Siro, nel 1926, era ben oltre l’estrema periferia, tanto da essere inserito nel comune di Lampugnano. Poi Mussolini, ben contento che Milano avesse uno stadio, prende Lampugnano e lo ingloba nel comune capoluogo. Sono gli anni di Peppino Meazza, trascinatore dell’Inter e della Nazionale. La prima grande partita degli azzurri a Milano? Italia-Austria, semifinale del Mondiale 1934. C’è il pienone: 810 mila lire l’incasso. L’anno dopo il Comune compra lo stadio dal Milan e decide per l’ampliamento. Si costruisco posti a sedere nelle quattro curve. Ma arriva la guerra e lo stadio rimane vuoto. Non c’è l’energia elettrica per rifornire i tram per un così lungo tragitto. Il Milan torna in città. Dopo il conflitto, anche l’Inter (che finora ha giocato all’Arena) si trasferisce “in periferia”. Si fanno i parcheggi e, nel 1955, la decisione di costruire il secondo anello. Che non appoggia sul primo, ma sulle rampe a torre. Nascono i “distinti”, ovvero il primo anello e il parterre (circa 20 mila posti in piedi, a ridosso del campo) e i “popolari”, il secondo anello attuale. Nel 1957 l’idea dell’impianto di illuminazione. Lo vuole il Milan che si fa carico della spesa che poi recupera a rate, al momento di pagare l’affitto al Comune. E l’Inter? Non è interessata alle luci, ma si adegua. Pagherà, per ogni partita in notturna, un sovrapprezzo del 3% sull’incasso.

Nel 1980, un anno dopo la morte, il Comune intitola lo stadio a Giuseppe Meazza che, scartato dall’Inter nel 1939 (per l’alto ingaggio e per un infortunio a un piede) giocherà due stagioni anche nel Milan. Per i Mondiali di Italia 90 si decide di costruire il terzo anello. Non può appoggiarsi ne’ sul primo, ne’ sul secondo. Si alzano le attuali undici torri attorno all’impianto e su quattro di queste si appoggiano le travi per sostenere i gradoni (con 20 mila posti) e la copertura in policarbonato. Impossibile calcolare, in quasi cento anni, il numero di partite giocate su quel prato. Impossibile dire quanti milioni di tifosi hanno esultato o pianto. Adesso lo vogliono abbattere. Sarà un giorno triste per chi ama il calcio.

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