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Il Derby della Decadenza: Manchester United e City spengono Old Trafford tra abbracci e rimpianti europei

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Un 0-0 che racconta più della crisi tecnica ed emotiva delle due squadre che del risultato in sé. Il derby di Manchester finisce senza vincitori né vinti, ma con tanti interrogativi sul futuro di Guardiola e Amorim.
Nancy Gonzalez Ruiz
Nancy Gonzalez Ruiz

Nel derby di Manchester nessuno si fa male, nessuno vince, ma tutti perdono. Manchester United e Manchester City, nel 196º capitolo di una rivalità che un tempo scuoteva le fondamenta della Premier League, si sono annullati in uno 0-0 che ha il sapore di una resa silenziosa, priva di ardore e svuotata di senso competitivo. Non tanto per la qualità del gioco – comunque scadente – quanto per la sensazione, palpabile e condivisa, che entrambe le squadre avessero paura di rischiare, di compromettere qualcosa. Il risultato? Un incrocio sterile, che avrebbe fatto sobbalzare Sir Alex Ferguson e Pep Guardiola dei tempi migliori. La definizione più tagliente l’ha data Gary Neville, e non senza autocritica: “Una partita da amorevoli saluti, sembrava stessero per andare tutti insieme a pranzo. Il peggior insulto per un derby”. Come dargli torto.

Un’aria viziata, un’ambizione evaporata

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Se da un lato si può concedere a Ruben Amorim il credito di aver ridato una struttura minima a un United agonizzante, dall’altro non si può ignorare la latitanza emotiva della squadra. La fase difensiva ha funzionato, Onana ha risposto presente su due conclusioni di Marmoush, e Zirkzee ha sfiorato il colpo grosso. Ma non si vive di lampi isolati. Quello che manca, e che Fernandes ha denunciato senza mezzi termini nel post-partita, è il morso, il veleno. L’istinto di uccidere la partita, di affondare quando l’avversario barcolla. Un tempo, la maglia del Manchester United era una dichiarazione di guerra, oggi una camicia stirata per la domenica.

E il City? Peggio ancora. Senza Haaland, e con un De Bruyne al suo ultimo derby, la squadra di Guardiola è sembrata più che confusa: spenta, rinunciataria, bloccata da un eccesso di controllo. A tratti, lo stesso Guardiola appariva spettatore stanco di una scenario che non gli appartiene più. I cambi – Doku, Grealish, Lewis – hanno spostato poco o nulla: nessuna accelerazione, nessun duello, nessuna vera voglia di vincerla. Il pressing alto e la veritcalità solo un ricordo sbiadito.

Un sintomo, non un episodio

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Non una parentesi, ma la fotografia fedele di due progetti in piena crisi d'identità. Il Manchester United resta impantanato a metà classifica e il rischio di chiudere la stagione con il peggior bottino di punti dell’era Premier è tutt’altro che remoto. Il City, invece, rischia di uscire dalle prime quattro – un’eresia fino a un paio di stagioni fa – e vede la Champions allontanarsi. Che Pep Guardiola sia all’inizio di una nuova ricostruzione è evidente, ma il dubbio che aleggia tra le mura dell’Etihad è più inquietante: ha ancora la forza, e la voglia, di rifare tutto da capo? Oppure siamo alle prime crepe di un ciclo che si sta naturalmente estinguendo? La presenza in tribuna di Hugo Viana, nuovo direttore sportivo, è stata tutto fuorché casuale. Il messaggio è chiaro: servono scelte radicali. I vari Gundogan, Bernardo Silva, e persino Foden sembrano fantasmi dei giocatori che erano. E la mossa di schierare De Bruyne come falso nueve, in un momento in cui la squadra avrebbe avuto bisogno di certezze, è l’espressione di un momento disperato.

Un derby svuotato e la crisi dell’identità calcistica

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Il problema, però, non è solo tecnico. È culturale. Lo ha detto, con toni duri, lo stesso Neville: “Questo non è il calcio che ci hanno insegnato. È diventato un esercizio di passaggi senza rischio, un balletto ipnotico che non porta a nulla”. I saluti affettuosi tra Bruno Fernandes e De Bruyne al fischio finale, i sorrisi, gli abbracci, le pacche sulle spalle. Scene più da testimonial di un brand  che da soldati di due acerrime rivali. Il Manchester derby, un tempo teatro di epiche rimonte e partite al cardiopalma, è oggi la cartolina ingiallita di un calcio che si sta smarrendo. Nel post-partita, anche Roy Keane ha puntato il dito sulla “mentalità sbagliata” e sul rischio che un’intera generazione di calciatori abbia confuso la gestione con la passività, la lucidità con l’assenza di coraggio.

L'occasione persa

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Un pareggio senza drammi, certo, ma anche senza anima. Né il City né lo United sono usciti da Old Trafford con qualcosa da raccontare. Nessun guizzo, nessun ricordo. Solo un silenzio strano, quasi imbarazzato. In fondo, questo derby era una prova del nove. Non tanto per la classifica – che resta grigia per entrambi – quanto per la misura di ciò che resta del fuoco sacro del calcio. E il verdetto è spietato: serve una rivoluzione, ma prima ancora serve ritrovare un’identità.