analisi Facebook di Roberto Beccantini -


UNA VITA SEMPRE ALL'ATTACCO
Mauro Bellugi, se ne è andato uno dei nostri
Il calcio piange Mauro Bellugi. L'ex difensore dell'Inter aveva subito l'amputazione delle gambe per il Covid
Se n’è andato, dopo Paolo Rossi, un altro dei nostri, Mauro Bellugi. Aveva 71 anni, e senza le gambe amputate si sentiva come un pianista senza mani. Covid ci cova. Toscano di Buonconvento, Inter, Bologna, Napoli, Pistoiese, e un bel po’ di Nazionale. Il Mondiale del ‘74 come scorta, il Mondiale del ‘78, in Argentina, da protagonista. E quella sera a Londra, la sera del 14 novembre 1973, Inghilterra-Italia 0-1, fuga e stoccata di Giorgione Chinaglia, Peter Shilton non blocca, Fabio Capello doma la respinta e la butta dentro e nella storia, ebbene sì, prima vittoria in terra di Albione, camerieri e pizzaioli in estasi con le pagine irridenti dei tabloid brandite come tomahawk, alla faccia. Mauro era lì, al suo posto. Nel cuore del bunker. Che, allora proprio bunker erano: e soprattutto in certi stadi, e Wembley era uno di questi.

In carriera, segnò un solo gol: al Borussia della lattina. E vinse un solo scudetto, quello del ‘71, in rimonta sul Milan (corsi e ricorsi). E fu in campo a Rotterdam, nella finale di Coppa dei Campioni, contro l’Ajax di Johan Cruijff, la cui doppietta fissò le distanze.
Stopper, libero: è bello sottrarre il lessico famigliare ai pulpiti sdottoranti dei predicatori tuti agghindati in «quinti» e «tapin». Elegante ma tosto, con quelle ginocchia un po’ così che tanti guai gli procurarono. Gianfranco Civolani ne ha scritto in «Civ, il mio Bologna». C’è un passo che vi giro: e non è, almeno spero, bigiotteria antica. «Era un ragazzone e allegro e in qualche modo infantile. E quella lenza di Pesaola gli diceva: "Con lei non parlo, lei è un campione e i campioni sanno sempre cosa devono fare". E lui - il ragazzone - gonfiava subito i pettorali». Muro in campo, ponte (alla tv, tanta) nella vita. E le bolge di Wembley sempre lì, a ricordarci di non dimenticarlo. Fatto.
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