MANCHESTER CITY-MANCHESTER UNITED 2-1

City of Wembley

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E’ difficilmente battibile, il City, ma non imbattibile. Visto anche quello che è successo nel derby in finale contro lo United.
Redazione Derby Derby Derby

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

Que sera, sera. Whatever will be will be. We're going to Wembley. Que sera, sera. E’ l’inno laico che accompagna la finale della Coppa d’Inghilterra. Un’emozione, sempre. L’ha vinto il Manchester City di Guardiola, 2-1 allo United di ten Hag. E così Premier, Fa cup. Manca la Champions, per il triplete: il 10 giugno a Istanbul, metropoli sospesa fra due continenti, l’Asia e l’Europa, la contenderà all’Inter.

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Un Bosforo alla volta, please. E’ difficilmente battibile, il City, ma non imbattibile. L’ha ribadito anche contro i cugini. Avanti dopo 13 secondi con una volée di destro di Gundogan (su lancio del portiere e sponde aeree assortite), raggiunto da un rigore di Bruno Fernandes per braccio «alticcio» di Grealish, di nuovo a cassetta con Gundogan, di sinistro rimbalzante. Nel finale della finale, fuori Grealish e dentro Aké, con tanto di difesa a cinque, il Pep: oh yes. E traversa di non-so-chi, in un mischione che avrebbe potuto spedire ai supplementari.

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Siamo agli sgoccioli della stagione, i serbatoi vanno più a nervi che a benzina. Haaland ha allargato la gamma delle soluzioni, senza inaridire le sorgenti (anzi): col Real, doppietta di Bernardo Silva; con i Red Devils, doppietta del capitano. Centrocampisti, entrambi, chi più chi meno offensivo, esaltati dalla missione che il ruolo non deve essere soltanto un ufficio ma anche, e soprattutto, un posto in cui si paga in idee, e per questo devi essere bravo tu e bravo il principale.

Al di là di un possesso non umiliante (60% a 40%), l’atto unico ha confermato quanto, d’improvviso, le distanze possano accorciarsi. Lo United, in fin dei conti, ne aveva presi tre da quel Siviglia che aveva sofferto la Juventus e «pareggiato» con la Roma. Non escludo che siano svariati i modi di affrontare il City, ma io ne colgo sempre uno: catenaccio (più o meno nobile, più o meno mobile) e contropiede. Da Klopp ad Ancelotti. C’è tempo, da qui a sabato.

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