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Dea Gratias: l’Atalanta è quella squadra che non annoia mai e che “vede” i Quarti di finale

MILAN, ITALY - FEBRUARY 19:  Hans Hateboer (R) of Atalanta celebrates after scoring the opening goal	during the UEFA Champions League round of 16 first leg match between Atalanta and Valencia CF at San Siro Stadium on February 19, 2020 in Milan, Italy.  (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

Atalanta-Valencia 4-1 a San Siro nell'andata degli Ottavi di Champions League

Redazione DDD

Una fase di Atalanta-Valencia...

analisi Facebook di Roberto Beccantini -

L’Atalanta non annoia mai, e questo è un pregio. Diverte sempre, a volte persin troppo: e questo può non esserlo. Prendete il 4-1 al Valencia. Due gol di un terzino (Hateboer), uno segnato di destro da un mancino (Ilicic) e uno di Freuler, un centrocampista. Gasperini, che non prende mai appunti (uno, finalmente!), era partito senza centravanti. Viva la Spagna di antica memoria, dunque: ma una Spagna verticale, di arrembaggio e non di torello. Una roulette russa, piuttosto: quale la Dea è, spesso, in campionato e in Europa. I quarti di Champions le si spalancano, così, libidinosi. Ma attenzione: non sarà una passeggiata. Gli spagnoli, di rimonte, se ne intendono. E se il Valencia non è il Real o il Barça, già a San Siro, pur in formazione largamente rimaneggiata, ha colto un palo e sprecato tre-quattro occasioni non inferiori, come nitore, a quella mangiatasi da Pasalic in avvio.

Questo, a voler fare i professorini. Se poi, viceversa, pensiamo alla storia dei duellanti, l’Atalanta merita solo ovazioni. Anche se Caldara, al rientro improvviso, non è ancora il Caldara che si spera ritorni. Anche se Palomino continua ad alternare blitz salgariani a omissioni letali. E anche se, in generale, l’obesità dello scarto aveva indotto a trascurare l’ingresso di Cheryshev. O forse perché, semplicemente, esistono gli avversari. Per esorcizzare i quali Gasp si è dato a una mossa che, lì per lì, sembrava un insulto al buon senso: fuori un difensore (Caldara), dentro una punta (Zapata). Il merito della società e dell’allenatore è di aver trasformato un elenco di «cognomi» - salvo rare eccezioni come il Papu e Ilicic - in una squadra inglese che gioca in Italia, azzanna i rivali, si azzuffa con loro, rischia, morde e poi, alla fine, invita tutti al pub. E se per caso il destino non ha preso impegni, pure lui.

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